Ci si attende dunque per domani, 30 gennaio, una ulteriore riduzione del tasso di sconto da parte della banca centrale statunitense. Per contro, ci si attende che la banca centrale europea manterrà inalterato il tasso di rifinanziamento.
La sensazione che si ricava dalle dichiarazioni di molti commentatori (per fortuna non tutti) è che la Fed si stia guadagnando sul campo la certificazione di banca centrale virtuosa e competente, la Bce quello di banca testarda e, non è detto ma è implicito, incompetente. Fuor di metafora: la Fed sarebbe pronta ad intervenire per evitare il male, la Bce la banca arroccata su posizioni vagamente fuori moda, banalmente anti inflazionistiche, testardamente insensibile alla minaccia di una recessione imminente.
Converrà allora ricordare che:
1 Le cause profonde della crisi presente sono di origine strettamente statunitense, e ciò in due sensi: primo, che essa è scaturita, come ci si attendeva da anni, dal mercato immobiliare statunitense; secondo, che fu la Fed ad immettere grandi quantità di liquidità nel sistema già a partire dal 2000 e per anni a seguire;
2 La Bce ha contribuito all’aumento della liquidità del sistema con grandi immissioni di liquidità per tutto il periodo da settembre 2007 a gennaio 2008, pur senza aver usato la leva del tasso di rifinanziamento;
3 la Bce sta di fatto tenendo il cambio dell’Euro nell’intervallo 1,45-1,50 $/€, il che non sembra un contributo di poco conto alla stabilità generale del sistema nella situazione di grande turbolenza sui mercati finanziari e del credito iniziata alla fine del luglio scorso;
4 Dalla crisi dei mercati asiatici del 1997-98 in avanti, il comportamento della politica monetaria è sempre stato oltremodo accomodante nei momenti di difficoltà dei mercati finanziari e/o del credito. Ciò ha consentito di ‘salvare’ dalla bancarotta alcune banche commerciali, hedge funds e simili, ma ha indotte tutti i cosiddetti ‘operatori finanziari’ a rivedere al ribasso il livello di rischio associato agli strumenti che scelgono di tenere in portafoglio.
Forse gli uffici studi delle banche centrali dovrebbero rispolverare la la letteratura sul moral hazard, come cercò di fare nel settembre scorso la Banca d’Inghilterra: alternativamente, non ci si sorprenda quando i vertici di un gruppo bancario di dimensioni sopranazionali dichiarano in conferenza stampa che il loro ufficio di valutazione del rischio non ha dato valutazioni corrette del rischio associato a certi strumenti finanziari detenuti in gran copia, nonostante avesse a sua disposizione tutti i dati necessari per farlo.