Scrivo questo pezzo esattamente durante le ore della ‘grande espansione’: la Banca d’Inghilterra ha appena tagliato il proprio tasso di riferimento di 150 (centocinquanta!) pb, la Banca centrale Svizzera ha seguito subito dopo con un ‘modesto’ taglio di 50 pb, infine pochi minuti fa la Banca centrale europea ha tagliato anch’essa di 50 pb. Perché?
La risposta a questa domanda non è ovvia, e certamente non sembra univoca. Ad esempio, gli amanti delle simmetrie diranno che siccome la banca centrale statunitense ha tagliato pochi giorni fa, così occorreva facessero anche altre Banche centrali importanti; gli amanti della vaghezza diranno che la crisi è globale e che la risposta deve, conseguentemente, essere globale; gli amanti della teoria secondo cui basta tenere i tassi di interesse bassi abbastanza perché l’economia ‘riparta’ diranno che il tasso di interesse reale è ancora troppo alto. E così via giustificando.
Vorrei provare a suggerire che occorre forse assumere un atteggiamento più critico nei confronti delle Banche centrali impegnate ad inondare il mondo di liquidità. Userò uno stile molto telegrafico, lasciando al lettore di riempire le caselle vuote.
1. La grande espansione monetaria è iniziata quindici mesi fa. La liquidità immessa nel sistema è cresciuta costantemente, anche se non a tassi uniformi nei diversi sottoperiodi; è cresciuta costantemente, anche se non sempre in modo visibilmente coordinato; è cresciuta costantemente, anche se gli strumenti della politica monetaria adottati sono talvolta stati diversi da paese a paese. Un’immagine semplice ma potente per porre un quesito ovvio: serve davvero continuare a pompare acqua nell’abbeveratoio, visto che il cavallo non vuol bere? L’espressione che tradizionalmente usano gli economisti è proprio questa: “E’ inutile portare il cavallo all’abbeveratoio se questi non vuole bere.” Ebbene, l’ho sentita poco tempo fa completamente snaturata: “C’è tanta acqua in giro ma nessuna da bere.” Mi sembra evidente che questa rappresentazione della realtà sia del tutto errata. Mi spiego.
2. Le Banche centrali immettono liquidità nel sistema. Perché l’immissione abbia successo, occorre che qualcuno la accetti: non un’acqua qualunque, ma LA acqua. Questo qualcuno non può che essere il sistema delle banche e degli intermediari finanziari in generale. Ora, è dolorosamente ovvio che le banche la liquidità l’hanno assorbita e l’assorbono molto volentieri: lo dice la logica, lo dice qualunque articolo di giornale da almeno un anno a questa parte.
3. Gli intermediari finanziari dovrebbero riprendere a concedere prestiti. Una volta assorbita la liquidità aggiuntiva immessa nel sistema dalla Banca centrale, gli intermediari finanziari dovrebbero trovare più ‘facile’ dare a prestito. Anche questo è dolorosamente ovvio. A meno che.
4. A meno che non intendano usare la liquidità per ragioni altre da quelle istituzionali. Leggiamo tutti che mentre il governo statunitense (non la banca centrale, ma non c’è differenza dal punto di vista di ciò che mi interessa dimostrare qui) sta concendendo decine e decine di miliardi di dollari alle nove banche più grandi degli Usa perché queste riavviino il processo di erogazione del credito, la stampa le accusa di accumulare liquidità allo scopo di acquisire banche e intermediari finanziari non appena questi mostrino segni evidenti di difficoltà.
5. La usano infatti per altre ragioni, visto l’andamento di Libor ed Euribor rispetto ai tassi di riferimento. I tassi sui mercati interbancari non sono aumentati dopo quella che chiamerò in modo neutro ‘la crisi di settembre’: il divario iniziò a crescere nell’ottobre del 2007! Forse c’è un modello di comportamento delle banche che già allora poteva essere identificato? (I miei studenti ne hanno cominciato a sentir parlare già a settembre, in effetti).
6. E allora perché offrire loro altra liquidità? Delle due l’una: o gli organi di governo delle Banche centrali non sanno che cosa stanno facendo, oppure lo sanno. Io non prendo neanche in considerazione la prima ipotesi: lo sanno, sanno molto bene che politiche monetarie drammaticamente espansive in questa situazione hanno come effetto principale quello del consolidamento del sistema bancario attraverso processi di fusione e acquisizione.
7. Perché finanziare un gigantesco processo di fusione e acquisizione dell’intermediazione finanziaria? A questo non so rispondere, anche se non sembra irragionevole avanzare l’ipotesi che questo serva a neutralizzare la potenza di acquisto di intermediari finanziari ‘nazionali’ da parte di fondi sovrani esteri, primi tra tutti i fondi di paesi dai grandi attivi commerciali nei confronti degli Usa.
8. E l’economia ‘reale’? L’economia reale non sembra affatto essere una preoccupazione prioritaria delle Banche centrali impegnate nell’alluvione. Sappiamo bene che tassi di interesse minori (quelli che le imprese pagano alle banche, non quelli che le banche pagano alla Banca centrale!) sono più favorevoli alla spesa che tassi di interesse maggiori: ma non sembra, francamente, una grande novità. Qui ed oggi la novità è questa: che le banche sanno di detenere in portafoglio forti quantità di titoli non prezzabili, e che altre banche ne detengono altrettanti; che è quindi prudente mantenersi liquide, il che offre il vantaggio aggiuntivo di poter finanziare facilmente l’acquisizione di concorrenti in difficoltà; che oltretutto queste acquisizioni sono, al minimo, non ostacolate dai governi nazionali e, bene che vada, finanziate almeno parzialmente con i proventi del prelievo.
9. Esempio di conseguenza perversa di una politica monetaria espansiva? I tassi sui mutui ipotecari sono correlati all’Euribor. L’Euribor è cresciuto all’aumentare della liquidità immessa nel sistema. Se quei tassi venissero calibrati direttamente sul tasso di riferimento BCE il costo dell’indebitamento non sarebbe aumentato per tutto il tempo in cui il tasso di rifinanziamento BCE è stato fissato al 4;25%, e ciò per circa 3,5 milioni di mutuatari solo in Italia. Questo sì sarebbe un effetto sull’economia reale.
10. Ma nulla di quanto sopra è sconosciuto agli organismi dirigenti delle banche centrali, nè ai loro uffici studi.