G20, Fondo Monetario Internazionale, Europa

Si ricorderà che la prima riunione del gruppo dei venti (G20) si tenne a novembre 2008 a Washington DC. Effetti clamorosi non se ne videro, ma ciò era comprensibile: nel periodo di transizione tra una presidenza e l’altra il Presidente in carica non poteva più esercitare il proprio potere a livello internazionale (né, ovviamente, all’interno), mentre il Presidente eletto non poteva esercitarlo ancora. Ma un principio fu affermato in modo inequivocabile: il G20 era qui per restare, come dimostrava il fatto che se ne annunciò subito un altro da tenersi da lì a pochi mesi.

L’incontro di Londra è avvenuto in condizioni di maggiore stabilità politica: il Presidente degli Stati uniti è nel pieno dei suoi poteri; lo shock del fallimento di Lehman Brothers, ancora vivo a novembre, è in via di graduale riassorbimento; la recessione è evidente e pessime sono le previsioni, ma quantomeno i pacchetti di stimolo fiscale sono stati approvati e sembra diffusa la convinzione che nel giro di pochi mesi potremo vedere almeno qualche segno dei loro effetti.

Ecco, i pacchetti di stimolo fiscale. Quanti, e quali, e per quanto? Sappiamo bene, e l’abbiamo documentato in occasione dell’evento tenuto al Politecnico il 16 marzo scorso, che quelli di maggiore rilevanza sono quello cinese, adottato in novembre per un valore di $ 586 Mil e quello Usa, adottato a metà febbraio, di un valore di $ 787 Mil. L’Unione Europea ha provveduto a generare stimoli di entità aggregata assai inferiore e, comunque, decisi ed erogati a livello di governo di ciascun paese membro. Fatto gravissimo questo, che ancora una volta denuncia l’arroganza nazionalista delle attuali leaderships nazionali, abbarbicate a quel residuo di potere fiscale che ancora rimane loro dopo i (provvidenziali, a quei tempi) Trattato di Maastricht e Patto di Stabilità di Amsterdam.

Non si intende qui offrire spazio alla supposta differenza tra Stati Uniti ed Europa, con i primi tutti tirati all’espansione fiscale e i paesi della seconda tirati verso la regolamentazione dei mercati finanziari: l’andamento dell’incontro e il comunicato finale testimoniano del fatto che questo scontro non c’è stato, né poteva esserci visto che i due obiettivi non sono minimamente in contraddizione. Quel che si intende evidenziare è piuttosto il fatto che l’arroganza delle leaderships nazionali europee, la loro ostinazione ormai decennale a cedere quote crescenti di potere fiscale all’Europa, hanno fatto dell’Europa stessa un giocatore di secondo piano nella riunione di Londra.

Prova? Leggiamo sul Financial Times di lunedi 6 aprile che “IMF urges eastern EU states to adopt euro’. In prima pagina. Mentre a pagina 3 leggiamo che “Obama urges EU to grant Turkey entry.’ Eccoci, dunque: in assenza di leadership europea il Fondo, e il Presidente degli Stati uniti, passano direttamente a suggerire misure di politiche economica strettamente di pertinenza delle istituzioni europee e dei governi dei paesi dell’Unione. Attenzione: misure che chi scrive condivide totalmente, e non da oggi o ieri, e che è dunque felice di vedere condivise da autorità politiche del livello del Presidente degli Stati Uniti e dal Fondo. Ma il problema è un altro: dov’è la leadership europea? Dove la capacità di porsi come giocatore importante, dignitoso, capace di produrre decisioni di politica economica utili ad uscire da questa crisi? Forse che veramente non si possa fare a meno di accettare che ‘tertium non datur’?

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