2. il completamento del processo di deregolamentazione dell’intermediazione finanziaria culminato negli Stati Uniti con il Gramm-Rudmann Act nel 1999;
3. la politica monetaria espansiva adottata dalla Banca Centrale statunitense per ridurre gli effetti potenzialmente devastanti della crisi delle dot.com nel 2000 e dell’attacco alle torri gemelli del 2001;
4. l’emergere prepotente della finanza strutturata a partire dalla fine degli anni ottanta, cioè di crescente uso da parte delle banche di strumenti finanziari ‘derivati’. Un esempio? Il titolo derivante dalla erogazione di un mutuo fondiario non viene trattenuto dalla banca per la durata del credito nel modo in cui molti di noi pensano, ma usato come ‘sottostante’ nella emissione di altri titoli di credito: carta, come si chiama in gergo bancario.
Che si accetti o meno la spiegazione offerta qui sopra, cioè quali che siano state le cause ‘vere’ della crisi, le banche ne sono al centro. Una dopo l’altra esse hanno mostrato di essersi esposte negli anni con emissioni di credito a clienti sempre più rischiosi ma, soprattutto, per cifre inconcepibili rispetto alla propria capitalizzazione. Ecco che cosa si intende oggi quando si dice che ‘le banche sono sottocapitalizzate’: hanno un capitale troppo piccolo per far fronte a tutti gli impegni e i rischi che si sono assunte.
Le banche raccontano, ovviamente, una storia diversa: esse dicono da anni di essere perfettamente solventi, e di aver soltanto bisogno di liquidità.
Questo è il quadro entro cui va pensata la fase attuale della crisi, iniziata il 22 ottobre 2009 quando una nota agenzia di rating emise un giudizio negativo sul debito emesso dal governo greco (un governo appena insediato, che aveva vinto le elezioni diciassette giorni prima!). Moltissimi, fin da subito, battezzarono la situazione come ‘crisi greca’. Peccato che, quali che fossero le condizioni della finanza del governo greco, la crisi non aveva nulla a che vedere con esse: più semplicemente, i ‘mercati’ avevano cominciato ad attaccare il paese più piccolo dell’area euro lasciando intendere che l’attacco sarebbe continuato a lungo e contro molti dei paesi dell’area euro. Anche qui un errore: il problema era, ed è, politico. Mi spiego.
Un governo non ‘fallisce’. Se, invece di far bella mostra del nostro inglese, usassimo l’italiano, sapremmo che il governo non ‘fa default’, ma ‘ripudia il debito’! Il governo ha la potenza repressiva e la forza coercitiva per farlo.Nel nostro paese è successo: tanto tempo fa, ma è successo, che il governo ripudiasse il debito.
La domanda a questo punto è: può il governo greco ripudiare il proprio debito? Ovviamente si. Lo farebbe perché ‘i mercati’ lo costringono a farlo? Quesito senza senso logico, né economico, né politico. Senza senso logico, perché se un governo è in grado di ripudiare il proprio debito, è logicamente errato pensare che qualcuno possa costringerlo ad esercitare un privilegio! Senza senso economico, perché l’esercizio di tale privilegio porrebbe le banche greche in condizione di dover dichiarare fallimento, poiché sono proprio le banche greche a detenere gran parte del debito emesso dal loro governo! Senza senso politico, perché si tratterebbe di una scelta che isolerebbe il Paese dal resto del mondo, e dell’Unione Europea, per via del danno che essa apporterebbe a tante banche: francesi, tedesche, italiane…..
Si sente parlare di un ‘default coordinato’. Assurdo. Un ripudio è un ripudio. Che cosa vuol dire che è ‘coordinato’? che il governo greco si assicurerebbe di avere tutte le garanzie affinchè nessuno dei paesi le cui banche ne soffrirebbero dichiari guerra alla Grecia? E’ ovvio che tali garanzie verrebbero cercate prima di qualunque decisione in tal senso. O si intende qualcosa di diverso? Si intende forse dire ‘ripudio del debito accompagnato da un piano di rifinanziamento delle banche che detengono titoli del debito greco’?
Il lettore avrà capito a questo punto dove è il problema: nelle banche, le quali negli anni novanta e soprattutto duemila si sono esposte talmente tanto da non essere in grado di assorbire il minimo disturbo che attacchi la parte sana – sì, sana – dei loro portafogli, quella parte che consiste di titoli del debito pubblico. Questo è il problema che i governi europei si trovano oggi di fronte, un problema squisitamente politico: chi deve assicurare che le banche non soffrano, oggi e nel futuro, di questo tipo di problema?