Liquidità, liquidità e ancora liquidità

Ciò che ci si attendeva si è dunque puntualmente verificato: la banca centrale statunitense ha ridotto di 50 punti base il tasso atteso sui fondi federali, portandolo al 3%; e nella stessa seduta è stato deciso un taglio di 50 punti basi al tasso di sconto, sceso ora al 3,50%.

Frequenza e profondità di questi tagli sono del tutto inusuali. Perché così tanto, perché in così poco tempo? La prima risposta che viene in mente è che la banca centrale statunitense possieda informazioni sullo stato dell’economia statunitense che nessun altro possiede: è possibile, in altre parole, che la Fed sappia che i dati pubblicati ieri sul tasso di crescita del prodotto interno lordo siano non veri, e che effettivamente il paese sia in recessione già dall’ultimo trimestre del 2007, come ultimamente alcuni commentatori hanno affermato?

Ovviamente, a questo tipo di speculazione non è serio contrapporre altre speculazioni: la verità pura e semplice è che nell’ultimo trimestre del 2007 il pil statunitense è cresciuto, dal che consegue che il paese non è ancora passato neanche attraverso il primo dei due trimestri di crescita negativa necessari perché si possa parlare di recessione. Rallentamento, certo; recessione, no.

E’ istruttivo leggere con attenzione le motivazioni a sostegno della decisione adottata dalla Fed, la quale recita: ” i mercati finanziari e creditizi stanno attraversando una fase di stress considerevole… e informazioni recenti indicano un aggravarsi della contrazione del mercato immobiliare e una certa caduta di tensione sul mercato del lavoro.” Due ragioni di preoccupazione dunque: una dal lato della finanza, una dal lato dell’economia reale e al mercato immobiliare in particolare.

Ma, viene da chiedere, quali sono questi dati ‘recenti’ relativi alla contrazione del mercato immobiliare? Tutti i quotidiani economici pubblicano regolarmente dalla fine dell’estate scorsa dati relativi al settore immobiliare statunitense dai quali si deduce che la contrazione è cominciata più di due anni fa. Poco di recente, in questo.

Forse, la preoccupazione della Fed è più rivolta allo situazione in cui si trovano i mercati finanziari e del credito, situazione sulla quale le enormi quantità di liquidità messe a disposizione non sembrano avere effetti visibili. E si che si è arrivati al punto che gli stessi strumenti finanziari all’origine della situazione presente vengono acquistati da alcune banche centrali in cambio di liquidità: fuor di metafora, si raccoglie carta straccia in cambio di moneta sonante. Eppure non basta. Perché?

La risposta non è affatto complicata. Dalla crisi dei mercati asiatici del 1997-98 in avanti, il comportamento della politica monetaria è sempre stato oltremodo accomodante nei momenti di difficoltà dei mercati finanziari e/o del credito. Ciò ha consentito di ‘salvare’ dalla bancarotta alcune banche commerciali, hedge funds e simili, ma ha indotto tutti i cosiddetti ‘operatori finanziari’ a rivedere al ribasso il livello di rischio associato agli strumenti che scelgono di tenere in portafoglio.

A mò di esempio. Solo poche settimane fa abbiamo dovuto leggere che i vertici di un gruppo bancario multinazionale dichiaravano in conferenza stampa che il loro ufficio di valutazione del rischio non aveva dato valutazioni corrette del rischio associato a certi strumenti finanziari detenuti in gran copia, nonostante avesse a sua disposizione tutti i dati necessari per farlo: di conseguenza, la banca stessa doveva svalutare di svariati miliardi di Euro le attività detenute in portafoglio (e lo ha fatto di nuovo ieri per ‘soli’ quattro miliardi di Euro). Si, è probabilmente vero, gli uffici di valutazione del rischio hanno a disposizione una gran messe di dati, incluso uno cruciale: in caso di difficoltà del sistema, la banca centrale immetterà nel sistema tutta la liquidità necessaria a ‘salvare’ le banche.

Non risulta, peraltro, che questa politica stia producendo effetti positivi sul settore immobiliare, nel quale le difficoltà dei mutuatari continuano ad aumentare come dimostra il numero crescente di foreclosures. Intanto però intanto continua la sceneggiata che ad un tempo vuole la Fed banca informata e lungimirante, pronta ad intervenire per evitare il male, e la Bce banca arroccata su posizioni vagamente fuori moda, banalmente anti inflazionistiche, testardamente insensibile alla minaccia di una recessione imminente.

Ma, così come era avvenuto  nel 2000-2201, la macchina della giustizia statunitense si è messa in moto: toccò allora, si ricorderà, alle imprese; tocca oggi alle banche. Grandi, prestigiose banche, nei cui confronti sono state appena aperte inchieste circa gli strumenti finanziari che esse hanno concepito, impacchettato e venduto.

 

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