Fino a quando!?

Il 22 febbraio 2013 sarà ricordato dagli storici e dagli esperti di comunicazione come un’altra gemma nella gestione dell’informazione sulla recessione attuale. Per gli economisti, invece, o quanto meno per quelli che hanno studiato e capito la buona teoria economica, sarà l’ennesima conferma del fatto che questa recessione, pur nata apparentemente non per loro volontà, è attivamente stimolata e aggravata dai governi europei e dai loro consulenti ‘liberisti’.

1.La gestione dell’informazione. Il giorno 22 febbraio la rappresentanza della Commissione Europea a Milano emette la seguente comunicazione [http://ec.europa.eu/economy_finance/eu/forecasts/2013_winter/it_en.pdf  ]

“Previsioni economiche d’inverno 2012-2014: si placa lentamente il vento di prua.

 Nonostante il miglioramento registrato nella situazione dei mercati finanziari dell’UE dall’estate
scorsa, l’andamento dell’attività economica è stato deludente nel secondo semestre 2012”.

La prima riga ci lascia tirare un (moderato) sospiro di sollievo: finalmente, dopo anni in cui ci si è venuto ripetendo che la ripresa sarebbe avvenuta non esattamente in questo semestre e neanche in quello successivo, ma nell’altro ancora si, ora ci si dice che ‘il vento di prua’ si placa lentamente. Bene. Ovviamente non si capisce cosa c’entri il vento con questa recessione, una traccia di economia nel titolo ci starebbe anche bene, visto che vi si parla di previsioni economiche, ma che importa: licenze letterarie, credo si chiamino. E allora procediamo a leggere le due righe successive, nelle quali per fortuna di economia si parla. Ed ecco che cosa impariamo:

  1.  L’aspettativa di chi ha stilato il testo era, evidentemente, che un “miglioramento registrato nella situazione dei mercati finanziari dell’UE dall’estate scorsa” NON avrebbe dovuto comportare un “andamento dell’attività economica […] deludente nel secondo semestre 2012.”  Questa interpretazione è incontrovertibile: quel “nonostante” all’inizio della proposizione è inattaccabile; 
  2. Ora mi chiedo: quale gioiello di teoria economica consente di formarsi tale aspettativa? In che senso un miglioramento della “situazione” (che non sappiamo cosa sia, ma ci fidiamo, se ci dicono che è migliorata sarà pur migliorata, forse si sta facendo riferimento implicito al famoso ‘spread’) sui mercati finanziari dovrebbe essere positivamente correlata con, o addirittura causare un, miglioramento dell’economia reale? [Miglioramento che, ovviamente, è posticipato ancora una volta.];
  3. La risposta al quesito sub b. è semplice, e ci viene fornita dal modello cosiddetto ‘liberista’ dell’economia, cioè quel modello che guida i governanti degli stati membri dell’UE e dell’UEM dall’estate 2009. Tale modello individua l’origine degli attacchi speculativi al debito emesso dai governi di alcuni dei paesi più piccoli dell’UEM nella eccessiva dimensione dei loro deficit (e dello stock dei loro debiti);
  4. il modello prevede dunque che al ridursi dei deficit pubblici si debba necessariamente verificare un ‘miglioramento della situazione’ sui mercati finanziari, e che esso
  5. conduca ad un miglioramento dell’economia reale;
  6. la quale, purtroppo, non si conforma ai desideri liberisti e, tanto meno, alle analisi economiche errate!

 

2.L’analisi economica. La buona teoria economica ci insegna che quattro sono i motori della crescita: spesa per consumi da parte delle famiglie, spesa per investimenti da parte delle imprese, esportazioni nette, spesa pubblica. Gli amici di scenarieconomici non hanno bisogno di sentirsi raccontare ancora una volta la storia che racconta le ragioni per le quali le famiglie hanno ridotto i propri consumi e le imprese le spese per investimenti. Poco più di sano buon senso comune. Ma forse sarà utile ricordare che se, come hanno scelto i governi europei, non si vuole stimolare l’attività produttiva mediante spesa pubblica, allora rimangono solo le esportazioni nette come motore per la ripresa. Certo, sperare che siano le esportazioni a tirare la ripresa è forse infantile in un mondo in cui tuttivogliono esportare e pochi importare. Eppure, sorpresa: è proprio quanto si afferma nel documento sopra citato:

         “Inizialmente la ripresa della crescita sarà trainata dalla domanda esterna.”

Bene, supplicheremo gli dei dell’economia perché i paesi ad economia emergente procedano alacremente nel loro percorso di crescita –e nel fare ciò acquistino tanto ‘made in Italy.’

 3. Le proposte di politica economica. Sarà bene chiarire in che senso scenarieconomici  propone che si torni ad usare la spesa pubblica come strumento per la ripresa e la lotta ai numeri drammatici sulla disoccupazione in Europa. La quale, sia chiaro, non sarebbe una scelta, se l’obiettivo è la ripresa, ma una necessità. Molti, infatti, al sentir parlare di spesa pubblica, dicono: ma è proprio la spesa pubblica ad aver generato gli attacchi speculativi contro i governi europei! Come si fa a riproporla? Occorre ridurre il debito pubblico, e questo va fatto mediante le privatizzazioni.

Provo a rispondere a queste critiche in maniera sintetica.

  1. Sappiamo bene che le privatizzazioni sono nel cuore degli economisti ‘liberisti’ come poche altre cose. Lo abbiamo scritto in un articolo pubblicato su scenarieconomici  il 22 marzo 2012 e di nuovo in un lavoro diverso del 23 maggio 2012. Sappiamo bene che assistenza sanitaria, istruzione e municipalizzate saranno, e anzi sono già, oggetto dei primi attacchi (per quanto riguarda la sanità in Italia si veda, ad esempio, Alesina e Giavazzi su di un quotidiano italiano);
  2. Noi non siamo contrari alle privatizzazioni in via di principio. Ma sarà bene che, prima di fare una scelta in quel senso, tutti si rendano conto di quanto costano l’assicurazione sanitaria privata, l’istruzione privata, ecc. Si tratta di un cambiamento epocale, il quale ha bisogno di preparazione e di consenso; si guardi alle resistenze che incontra la riforma sanitaria voluta dal Presidente Obama negli Usa… [so bene che va in direzione opposta a quella auspicata dai ‘liberisti’ nostrani].
  3. In ogni caso, quale che sia la posizione ‘ideologica’ sulle privatizzazioni, ciò che conta in questo momento è che esse sono impotenti a far ripartire l’economia: chi investite vuol vedere la crescita avviata prima di investire, non partire lancia in resta e trovarsi poi con investimenti fatti e recessione ancora in atto. Si pensi al mercato immobiliare, nel quale la domanda stagna in attesa che i prezzi cadano ancor più di quanto non abbiano già fatto;
  4. Noi sottoponiamo all’attenzione dei lettori due misure di politica economica che riteniamo interessanti ed effettivamente in grado di far ripartire le economie europee:
    1. Trasferimento graduale, ma permanente, di capacità di prelievo e di spesa dai governi nazionali al Consiglio dei Capi di Stato e di Governo o, in alternativa, ad un Ministero europeo delle Finanze ed uno del Tesoro. La forza di questa proposta sta nel fatto che nessun movimento speculativo oserebbe attaccare spesa in disavanzo gestita a livello EU o anche solo UEM, nonostante i ‘liberisti’ abbiano dato ai cosiddetti ‘mercati’ la possibilità di attaccare Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Italia, tutti mercati finanziari piccoli, relativamente poco liquidi, facili da attaccare anche per un solo fondo di dimensioni medie (eccezione, forse, l’Italia). Se poi la spesa debba essere in infrastrutture, come va di moda dire, o vada destinata all’ammodernamento e alla europeizzazione dei modelli nazionali di previdenza sociale o di supporto al salario di cittadinanza, questo si vedrà;
    2. A livello nazionale, aver abbracciato l’idea mortale dei bilanci pubblici in pareggio non implica che i governi non possano spendere in disavanzo: bilancio in pareggio vuol dire soltanto che tanto si spende, tanto si deve prelevare. E allora, perché non prelevare dalle fasce alte di patrimonio, laddove la propensione a consumare è bassa, e trasferire su consumi pubblici, laddove la propensione è massima? Perché prelevare mediante le imposte sul valore aggiunto, che colpiscono di più i redditi più bassi? Ma siamo coscienti, in questo nostro paese, che esiste un dibattito a livello internazionale sugli effetti recessivi di una distribuzione ‘troppo’ ineguale del reddito? Che non sono solo gli Stiglitz, gli accademici del mondo a studiare le caratteristiche della disuguaglianza, ma anche esponenti importanti del mondo delle imprese?

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