Ebbene si: finalmente i disfattisti e coloro che remano contro a vario titolo sono stati sbugiardati: la ripresa è cominciata! E, come dice un importante quotidiano economico inglese, dobbiamo quindi celebrare il successo delle politiche di austerità adottate dai governi europei negli ultimi anni, vuoi per scelta propria, vuoi per scelta altrui.
Purtroppo, ogni giorno che passa chi scrive, e molti migliori di lui, è costretto a dare lezioni di lingua (prevalentemente italiana, nel mio caso), a spiegare il significato delle parole prima ancora di poter parlare di economia. Alcuni, malignamente, potrebbero sostenere che il lavoro di chi scrive non consiste affatto nell’insegnare l’italiano, quanto nello smascherare i tentativi maldestri di chi vuole continuare a nascondere la verità a chi produce e chi lavora. Ma costoro sono, per l’appunto, dei maligni. Veniamo ai fatti.
La Commissione Europea ci ha da poco annunciato attraverso Eurostat che “Finalmente il pil europeo torna a crescere.” Dopo sei semestri di recessione. Dello 0,3% sia in UE-27 che in area Euro. Rispetto al primo trimestre. Bene, trionfo. E rispetto invece al secondo trimestre del 2012? Ulteriore contrazione dello 0,7% in area Euro e dello 0,2% in UE-27. Ahi. (Per consentire una comparazione: durante il secondo trimestre 2013 il pil Usa è cresciuto dell’1,4% rispetto allo stesso trimestre del 2012). E il tasso di crescita previsto per il 2013? Negativo. Fine della recessione? Mah.
Due sono le cose che sarà bene sottolineare.
- Una rondine, purtroppo, non fa primavera. Pe quanto indubbiamente positiva, la notizia non deve far pensare che l’economia si stia ‘riprendendo’. Mi sono trovato talvolta ad assimilare questa recessione feroce alla temperatura di una persona che salga rapidamente verso livelli mai visti prima: diciamo, convenzionalmente, i quaranta gradi. Bene, che cosa succede quando finalmente la temperatura smette di salire –o, magari, scende a 39,9C? (Si noti che il tasso di disoccupazione, misura della ‘febbre’, è inchiodato al 12,1%, e non dà segni di voler scendere). Vediamo forse medici organizzare delle gran conferenze stampa per celebrare la correttezza della loro diagnosi e l’efficacia delle cure prescritte, li sentiamo straparlare di ‘luce alla fine del tunnel’? No. Li sentiamo dire che la situazione si è stabilizzata. Che sembra esserci un piccolo miglioramento, ma che è troppo presto per dichiarare una inversione di tendenza. Uno dei pochissimi a mantenere la propria coerenza di austero è il signor Olli Rehn, il quale ha dichiarato che non bisogna farsi illusioni, che occorre continuare a fare sacrifici ecc. ecc.: chissà perché, chi scrive crede più a lui che ai cantori della fine della recessione. A buon intenditore poche parole.
- L’economia non è lo spread. Parallelamente alla notizia sulla fine della recessione, lo spread tra decennali italiani e decennali tedeschi si è ridotto al minimo da due anni a questa parte (sceso di quattro o cinque punti base, ma tanto basta ai cantori della rinascita europea). Occorre rassegnarci al nostro destino, e continuare a spiegare urbi et orbi che l’obiettivo dell’attività economica non è un basso spread, ma il benessere degli umani. E occorrerà anche rassegnarsi a discutere e dibattere ad libitum su quale sia la corretta distribuzione del reddito tra coloro che partecipano al processo produttivo e coloro che al processo non partecipano, quali i malati, i minori di una certa età, gli anziani, etc. (si, avete capito bene, le spese per la sanità, l’assistenza, i trasferimenti alle famiglie, etc.). E ancora: quale sarà la corretta distribuzione del reddito tra coloro che partecipano al processo produttivo? Come risolviamo il dilemma ormai decennale del cuneo fiscale? E quello, più recente, di se e quanto debba essere l’Imu sui bilocali con cucina abitabile!?
Francamente, signora mia, non se ne può più. Il problema è uno solo, e non è sopportabile che si continui a far finta di non vederlo, il problema è la crescita. Il tasso di disoccupazione in area Euro è del 12,1%. Si tratta di un numero orrendo, la cui persistenza produrrà livelli di disgregazione sociale, di povertà diffusa, potenzialmente di ordine pubblico, mai visti dalla fine della seconda guerra mondiale. (Un mio ex studente ha portato alla mia attenzione un lavoro di Jacopo Ponticelli e Hans-Joachim Voth, CEPR Discussion Paper n. 8513, ‘Austerity and Anarchy: Budget Cuts and Social Unrest, 1919-2009’. Lettura istruttiva.)
Quando l’economia cresce, il reddito cresce, crescono le opportunità di occupazione, quelle di mobilità sociale orizzontale e verticale, crescono le opportunità imprenditoriali. Se poi ci fossero dei governi (europei) preoccupati del futuro dei paesi che governano, allora forse uno stimolo alla ricerca e sviluppo, alla mobilità territoriale, un salario di cittadinanza… .