Deflazione: la Bce non si muove, è vero. Ma i governi dove sono??

Dunque un altro rinvio da parte della Bce, non sappiamo fino a quando, non sappiamo per fare che cosa. Ma che cosa ci aspettavamo, e sperando in quali effetti? Accertiamo anzitutto di aver ben capito quale sia il problema che si spera la Bce possa risolvere?

La deflazione in avvicinamento. Ne hanno impiegato del tempo, i nostri appassionati di austerità, ma finalmente la deflazione si sta avvicinando pericolosamente. Essa è già un fatto conclamato in Grecia, Portogallo, Spagna e Slovacchia. L’Italia, con il suo 0,4% di tasso di inflazione, vi si sta avvicinando pericolosamente. E la media dell’ UEM è ad un terzo circa di quel 2% che è il numero magico iscritto nel mandato della Bce.

La cura. Sembra di capire che dalla Bce ci si attenda una riduzione a zero dei tassi di rifinanziamento marginale e quello sui depositi e poi di cominciare ad adottare politiche monetarie “non convenzionali” sulla scia di quanto da anni fa la Fed.

Inutile commentare sulla rilevanza delle prime due misure quando siamo ormai prossimi a quello che i colleghi statunitensi chiamano “the zero lower bound” e che passare subito ad operazioni di politica non convenzionale sarebbe probabilmente assai più efficace. Ma efficace per che cosa? Per aumentare il grado di liquidità presente nel sistema?

Un meccanismo che non funziona più. Ma non si sono accorti, i fautori della linea secondo cui sono le autorità monetaria a doverci tirar fuori dalla prospettiva di una stagnazione secolare, che sono sette anni (7!) che le banche centrali dei paesi ad alto reddito procapite continuano ad espandere? Ma si è preso la briga, qualcuno, di andarsi a guardare i bilanci di Bce e Fed? E dove è la corrispondente crescita del volume di credito alle imprese e alle famiglie? E dove è stata l’inflazione in questi sette anni, a fronte dell’alluvione di liquidità immessa nel sistema? È scomparsa!

Dove sono i governi? Così come non è vero che l’inflazione è sempre e dovunque un fenomeno monetario, così non è vero che lo sia il suo opposto, la deflazione. La buona teoria economica ci insegna che quando un paese deve misurarsi con tasso di disoccupazione del 13%, una emigrazione giovanile ormai di massa, una distribuzione del reddito drammaticamente ineguale, è il governo a doversi far carico dello stimolo. Non stiamo parlando qui dell’alta teoria del ruolo dello Stato nell’economia: stiamo parlando di una situazione che solo la spesa pubblica può far ripartire. I tagli alla spesa si fanno quando le cose vanno bene, nella parte alta del ciclo economico, non quando il Paese è in ginocchio.

Spesa pubblica!?  Si, spesa pubblica per uscire da questa prospettiva di stagnazione secolare. Proviamo a guardare i comportamenti strategici dei governi Monti, Letta, Renzi. Tutti identici, tutti lungo due direttrici: rispetto del vincolo di bilancio e contrattazione con i governi dei paesi aderenti all’Euro per ottenere ‘ripensamenti’ sul rigore con cui vanno interpretati tali vincoli. Sul piano europeo tutti e tre i governi hanno agito sostanzialmente bene, anche se è pur vero che hanno trascurato di costruire un’alleanza tra i paesi in difficoltà e hanno piuttosto ‘visitato’ le capitali dei governi virtuosi. Ma tutti e tre hanno anche adottato politiche fallimentari per il rispetto del vincolo di bilancio.

Intendiamoci: il vincolo di bilancio va rispettato. Punto. Ma perché tutti e tre hanno adottato la strategia del taglio alla spesa pubblica? I suggerimenti di chi vorrebbe provare a ‘forzare la mano’ ai nostri partners sono infantili. Ma perché era ed è così importante realizzare una ‘spending review’ (perché non si possa dire ‘tagli alla spesa’ non lo so, ma posso immaginarlo).

Il pareggio di bilancio non richiede tagli alla spesa pubblica.  In un periodo drammatico per il paese, un periodo in cui tutte le componenti della domanda aggregata sono stagnanti o in diminuzione, non ci si può aspettare che quattro soldi di taglio alla spesa liberino le capacità imprenditive del nostro popolo. Basta guardare l’andamento degli investimenti negli ultimi sette anni! La buona teoria economica ci insegna che in queste condizioni è il governo che deve stimolare l’economia. Ma come si fa, mi viene chiesto spesso, se dobbiamo (e dobbiamo) rispettare il vincolo del pareggi o di bilancio?

La strategia. Un pareggio di bilancio si ottiene se all’aumento delle uscite (la spesa pubblica) corrisponde un pari ammontare di aumento delle entrate. Mi si dirà: ah, ma lei vuol aumentare le tasse! E io potrei rispondere: perché, cosa ha fatto invece chi vi ha promesso riduzioni? Ma io non propongo di aumentare ‘le tasse’. Io propongo l’introduzione di una patrimoniale sui patrimoni posseduti dal ‘top 1%’. Con progressivo e graduale sgravio del prelievo sui patrimoni (e sui redditi) minori. Mi chiedo: perché il dibattito economico su queste cose fiorisce in Francia, negli Stati uniti e in tanti altri Paesi, ma non da noi? È una domanda seria, sarei grato per una risposta. Eppure Monti era presente alla conferenza ‘Oltre l’austerità’ tenutasi a Roma il 2 maggio 2012, quando J. Stiglitz intervenne dicendo grosso modo le cose che stiamo dicendo qui ora (il video è disponibile qui).

A mò di conclusione.

Siamo sull’orlo di una catastrofe (visione ottimista). La quale non è ‘naturale’ ma il risultato catastrofico delle lungimiranti politiche recessive volute dai governi nazionali dei paesi aderenti all’UEM e, più in generale, all’UE. Con la benedizione, ovviamente, di Commissione Europea, Fondo Monetario Internazionale, Bce (la troika di greca memoria, ricordate?) OCSE e via austerizzando.

(Tra tutti i quali, ad oggi, soltanto il FMI ha ammesso di aver contribuito al disastro, il quale ha fatto suonare ancora un altro allarme attraverso le parole preoccupate del suo Managing Director, Christine Lagarde).

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