BCE, passettini o grande novita’? L’Euro non se ne cura comunque

Mettevo in evidenza nel mio pezzo del 3 giugno come, nella spiegazione pubblica data della strategia BCE contro la deflazione, il cambio dell’Euro giochi un ruolo importante. In particolare, sosteneva il presidente Draghi, un Euro apprezzato contribuisce in maniera pesante alla spirale deflazionistica. Mettevo poi in evidenza come, nonostante vi fosse consenso circa il fatto che il 5 giugno la BCE avrebbe annunciato tagli dei tassi e probabilmente altre misure di impatto espansivo su base monetaria e offerta di moneta, trovavo interessante il fatto che il cambio fosse inchiodato attorno al valore di $1,36/Euro, e ne deducevo che le aspettative di una espansione monetaria non sembravano più guidare, come molti ancora credono, il cambio stesso.

Il 5 giugno ho avuto la fortuna di essere nella condizione di commentare in diretta (Class CNBC, 13:30-14:00, Sky 507) la comunicazione della decisione del consiglio esecutivo della BCE, e quindi anche di osservare in diretta i movimenti del cambio nei circa dieci minuti successivi alla comunicazione stessa.  Bene: reazione immediata da 1,361 Dollari/Euro a 1,367, nel giro di 5 minuti a 1,357, per poi finire la giornata con l’Euro in leggero apprezzamento rispetto al valore pre-conferenza stampa. Fantastico: il cambio non si muove! (Più precisamente: per i traders, che scommettono sulla terza e sulla quarta cifra decimale, si è mosso, ma per noi mortali no).

Deve essere stato, questo risultato, un motivo di smarrimento per il presidente Draghi e per il consiglio esecutivo tutto: ci avevano creduto, e avevano detto pubblicamente quanto ci credessero. E adesso ‘i mercati’ non si comportano come la BCE si attendeva. Perché?

Ci sono, come sempre, almeno due spiegazioni, della prima delle quali esistono due versioni.

1.1 Chi crede che siano i differenziali nei tassi di espansione monetaria a guidare il cambio dirà che le misure annunciate dalla BCE non sono sufficienti ad attivare il meccanismo di deprezzamento dell’Euro, in particolare perché ‘le aspettative’ del mercato erano che la BCE si sarebbe avventurata, a loro modo di pensare, nel terreno dei quantitative easings, terreno ancora inesplorato in Europa. Implicazione di politica economica: alluvionate il mondo di liquidità, e prima o poi il maledetto cambio cederà;

1.2 Alcuni, sempre tra coloro che credono siano i differenziali nei tassi di espansione monetaria a guidare il cambio, ritengono che il motore del differenziale sarà la FED: mano a mano che essa si avvicinerà alla fine del programma di tapering e, quindi, sarà più prossima ad un aumento dei tassi, il Dollaro Usa si apprezzerà di conseguenza. La differenza tra i due sottogruppi sta quindi ‘semplicemente’ nel fatto che il secondo crede che a guidare il cambio non possa essere la BCE, per quanto si sforzi di espandere, ma la FED. Posizione da non prendere alla leggera, a mio avviso, perché sottolinea la potenza del Dollaro come moneta di riserva e della FED come centro di governo della struttura dei tassi, e dei cambi, a livello mondiale.

2. Esiste poi chi, come chi scrive, pensa che il problema della ‘forza dell’Euro’ sia un problema del secondo ordine di grandezza oggi in Europa. Per chiarezza: esiste di certo un problema teorico che consiste nell’individuare le determinanti del tasso di cambio, ma chi si occupa di queste cose sa che questo problema esiste da decenni. È stato scritto, non a caso, che il miglior predittore del tasso di cambio al tempo t sia il cambio al tempo t-1 –in soldoni, miseria della teoria. Ciò detto, quali miracoli, esattamente, ci si attende da un Dollaro/Euro a, diciamo, 1,30 o anche 1,26, rispetto all’attuale 1,36? Ma siamo in grado di calcolare le percentuali di variazione? E poi, quali sarebbero esattamente le elasticità della domanda di esportazioni al prezzo? Lasciamo pure da parte le osservazioni sul fatto che la dislocazione globale dei processi produttivi e la composizione merceologica delle spese ‘nazionali’ per consumi sono cambiate in maniera radicale negli ultimi due decenni e che dal sevizio studi della BCE non riceviamo notizia che se ne siano accorti –e non abbiano potuto, di conseguenza, valutarne l’impatto sugli effetti che variazioni del cambio possono oggi avere sulla competitività internazionale di prezzo delle merci e dei servizi. Lasciamo da parte tutto questo ed altro ancora: pensano davvero ad un rilancio della competitività delle imprese basate in UEM con un deprezzamento dell’Euro delle dimensioni di cui sopra?

Se veramente, come annunciato pubblicamente, si crede che l’UEM tutta stia scivolando verso la deflazione, allora si avvii una politica di spesa pubblica centralizzata a livello UEM, o addirittura UE, il solo strumento potente per rilanciare la domanda; e la BCE si offra come acquirente massiccio delle obbligazioni emesse per finanziare questa spesa, obbligazioni che molti chiamano ‘Euro Bonds’. Altro che 400 miliardi di Euro offerti alle banche mediante le Targeted Long Term Refinancing Operations: una miseria, affidata ad un sistema bancario che blocca da anni il sistema di trasmissione del credito e, oltretutto, mirata alle famose ‘piccole e medie imprese’, cioè a quella classe di imprese che ha provato e riprovato di essere scarsamente capace di innovare, crescere, e creare occupazione. Non sempre per colpa delle banche che un po’ di ragione la hanno: non si può mica dare a credito facilmente a chi non ……..

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