Fatto N.4: Perché il paese non riesce ad attrarre Investimenti Diretti dall’Estero? Perché c’è l’Articolo 18? NON E’ VERO

Premessa

[Chi avesse letto uno qualsiasi dei Fatti 1, 2 o 3 salti questa premessa a piè pari e vada sotto a il Fatto n. 4]

Quando, anni fa, discutevo con studenti, colleghi e amici dell’opportunità o meno di aprire www.scenarieconomici.com, la mia posizione su quali sarebbero stati i temi che vi avrebbero trovato spazio era molto ferma: temi di economia internazionale, reale e finanziaria, temi importanti per il governo dell’economia mondiale quali le politiche monetarie e quelle fiscali. E temi di politica economica interna italiana? No, grazie. Certamente temi da discutere con studenti, colleghi e amici, ma non nel ‘dibattito pubblico’, quello tra e sui quotidiani, gli spettacolini televisivi post prandiali, le uscite estemporanee di politici e giornalisti di cui già Giorgio Gaber ci parlava anni e anni fa. Un dibattito pubblico asfittico, tinto di ideologia come in pochi tra i paesi ad alto reddito pro capite, povero di posizioni scientificamente solide collegate alla ricerca, ricco però di luoghi comuni quali quelli che hanno portato il paese al disastro: il ‘piccolo è bello’, le virtù dell’essere ‘radicati sul territorio’, le magnifiche sorti e progressive del ‘made in Italy’,  e avanti così, il tutto mentre la globalizzazione dei mercati e delle culture avanzava trionfante (vedo i miei studenti di tanti anni sorridere mentre leggono questa mia tirata vecchia ormai di decenni!).

Arriva però un giorno, di tanto in tanto, in cui occorre fare un’eccezione e parlare di Italia in pubblico, uscendo dalla torre d’avorio per cercare di parlare (ad almeno una piccola parte) di quelle decine di milioni di concittadini per bene, che sanno quali siano i problemi veri dell’economia, un giorno in cui diventa dovere assoluto denunciare il fatto che l’uso dell’ideologia avulso da qualunque riferimento ai fatti e alla teoria economica assume il tono di campagna di disinformazione permanente. Quel giorno occorrerà dire con forza quali sono i fatti, e con ciò mostrare che il re è nudo. Come, peraltro, tutti coloro che conosco sanno e mi dicono. Anche quelli che non conoscono la teoria economica così bene, perché rimane vero che il buon senso (onesto) e la buona teoria economica sono in forte sintonia.

Questo è uno di quei giorni.

La struttura di questa pubblicazione è un po’ arzigogolata ma divertente. Ogni due settimane aggiungerò al documento base un ‘Fatto’. E ciò verrà annunciato ai lettori attraverso i soliti canali: Twitter, Linkedin, ecc. L’elenco dei Fatti suwww.scenarieconomici.com sarà dunque sempre più lungo al passar del tempo. Perché il lavoro di sbugiardamento durerà molto a lungo.

Fatto n. 4: Perché il paese non riesce ad attrarre Investimenti Diretti dall’Estero? Perché c’è l’Articolo 18? NON E’ VERO: non arrivano perché l’apparato produttivo è largamente fondato su imprese ad alta intensità di lavoro non qualificato e producono merci producibili in qualunque paese al mondo.

Come è noto, nel nostro paese il dibattito sugli investimenti Diretti dall’Estero (IDE, d’ora in avanti), o meglio sulla loro assenza, è molto sentito. Perché, ci si sente chiedere, non riceviamo investimenti diretti dall’estero? Perché il capitale globale non apprezza le imprese italiane, perché il ‘made in Italy’ non attiva attenzione –e di conseguenza non attiva flussi in entrata?

Molti ricorderanno che anni fa la risposta delle imprese, e delle loro associazioni, era centrata sulle famose ‘tasse’. Non attiriamo capitali dall’estero, dicevano allora, perché in Italia le tasse sono troppo alte. E chiedevano a gran voce qualcosa di chiaro, netto, che avrebbe dovuto essere ovvio a tutti: la ‘flat tax’. Magari al 19%. E si portava l’esempio della Bulgaria. Ovviamente, chi scrive irrideva a questa spiegazione, e portava (e continua a portare) l’esempio di un paese in cui le aliquote marginali d’imposta su individui e profitti distribuiti sono feroci ma, curiosità, la cui capacità di attrazione di investimento diretto dall’estero era ed è tra le più alte al mondo (e forse la più alta).

In seguito si passò a far discutere al pubblico generale la tesi secondo cui di IDE non ne arrivano perché il costo del lavoro è troppo alto; e poi che c’è il cuneo fiscale che in Italia è troppo alto, e poi che non c’è la flessibilità del lavoro…. Bene, sulle questioni del mercato del lavoro italiano ci siamo espressi con chiarezza mediante i ‘Fatti’ n. 1, 2 e 3 come pubblicati su questo sito. Favole. Ultimamente, ad un dibattito pubblico sul ‘Jobs Act’, ne ho sentita una veramente bella: IDE non ne arrivano perché le ‘multinazionali’ sono spaventate dall’Articolo 18!

A queste posizioni ufficiali delle associazioni imprenditoriali, e di gran parte degli imprenditori, associati o meno, la sinistra ha reagito con argomentazioni (quasi) altrettanto risibili: le multinazionali stanno alla larga da noi perché qui ci sono mafia e corruzione.

Il lettore avrà notato che tanto per la destra (ovviamente) che per la sinistra (meno ovviamente), la colpa è sempre ‘di qualcun altro’: le tasse, il cuneo fiscale, l’iper-protezione di cui godono i lavoratori italiani, la mafia, la camorra… ah, dimenticavo, la burocrazia!  Come possiamo dimenticare la burocrazia italiana!?

In breve, mai una volta che vengano nominate le caratteristiche di ciò che si vorrebbe venisse comprato: le caratteristiche delle imprese italiane. Perché non proviamo a vedere come sono queste imprese italiane –in media, ovviamente? Proviamo a chiederci perché un investitore estero dovrebbe acquisire quote di imprese italiane. Non è forse giusto ragionare così? Un investitore estero non compra quote di ‘sistema Italia’, giusto? Certo, chiunque capisce che a parità di tutte le altre condizioni sarà meno rischioso investire laddove non vi è mafia anziché laddove vi è, laddove non vi è burocrazia invece che laddove ve ne è, laddove…. Ma, tolte di mezzo le banalità, vogliamo porci il quesito serio, e cioè: investire in che cosa? In quale tipo di impresa? In quale settore merceologico? In quali settori produttivi? In breve, quali sono le caratteristiche d’impresa che attraggono, e quali quelle che respingono, l’investitore? Perché, lasciate che mi ripeta, l’investitore compra anzitutto imprese e non Gli Uffizi –nonostante siano anch’essi, immagino, parte del famoso ‘sistema Italia’.

La Figura 1 riporta il livello di spese per investimenti delle imprese dei paesi nominati, per occupato, nel 2012. Un commento dettagliato sarebbe superfluo: perché un residente estero, persona fisica o giuridica, dovrebbe investire in Italia quando gli italiani non lo fanno!? Perché investire in imprese i cui dipendenti non sembrano proprio essere dotati di capitale fisico arricchito da nuovi, sostanziali investimenti?

Figura 1: Investment per person employed in manufacturing (Thousands of € per person employed, 2012)

Fact n 4 - Figure 1

Fonte: Eurostat

Imprese, quelle italiane, che investono poco non solo in capitale fisico, ma anche in capitale umano. Drammaticamente poco. Imprese nelle quali la combinazione di scarso investimento in capitale fisico e scarsissimo investimento in capitale umano garantisce livelli di profitti bassi perché garantisce bassi livelli di produttività. Punto.

Figure 2: Manufacturing – Employment by level of education (percentage of total employment): First and second stage of tertiary education (ISCED 1997 – levels 5 and 6) – 2011 ranking 

Fact n 4 - Figure 2

Bassi livelli degli investimenti in capitale fisico per addetto, scarsa presenza di dipendenti laureati (Figura 2) – dove ovviamente la laurea è una proxy per misurare il capitale umano, il possesso di conoscenze e competenze –  si materializzano necessariamente in quanto ci dice la Figura 3: l’incidenza percentuale delle esportazioni italiane di merci ad alto contenuto tecnologico sul totale delle esportazioni è risibile rispetto a quella degli altri paesi ad alto reddito pro-capite.

Il che va dimostrare quanto si diceva in apertura: il nostro apparato produttivo vuole soddisfare domanda mondiale di prodotti a basso contenuto di lavoro e di competenze. Ad altri produrre, ed esportare, prodotti ad alto contenuto tecnologico, alti profitti, alti salari.

Figura 3: Esportazioni ad alto contenuto tecnologico[1] (% del totale dei beni manufatti esportati), 2004 – 2012

Fact n 4 - Figure 3

Fonte: World Bank

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