Fatto n. 5: Sono gli investimenti che generano aumenti di produttività. Ma le imprese italiane non investono

Premessa

[Chi avesse letto uno qualsiasi dei Fatti 1, 2, 3 o 4 salti questa premessa a piè pari e vada sotto a il Fatto n. 5]

Quando, anni fa, discutevo con studenti, colleghi e amici dell’opportunità o meno di aprire www.scenarieconomici.com, la mia posizione su quali sarebbero stati i temi che vi avrebbero trovato spazio era molto ferma: temi di economia internazionale, reale e finanziaria, temi importanti per il governo dell’economia mondiale quali le politiche monetarie e quelle fiscali. E temi di politica economica interna italiana? No, grazie. Certamente temi da discutere con studenti, colleghi e amici, ma non nel ‘dibattito pubblico’, quello tra e sui quotidiani, gli spettacolini televisivi post prandiali, le uscite estemporanee di politici e giornalisti di cui già Giorgio Gaber ci parlava anni e anni fa. Un dibattito pubblico asfittico, tinto di ideologia come in pochi tra i paesi ad alto reddito pro capite, povero di posizioni scientificamente solide collegate alla ricerca, ricco però di luoghi comuni quali quelli che hanno portato il paese al disastro: il ‘piccolo è bello’, le virtù dell’essere ‘radicati sul territorio’, le magnifiche sorti e progressive del ‘made in Italy’,  e avanti così, il tutto mentre la globalizzazione dei mercati e delle culture avanzava trionfante (vedo i miei studenti di tanti anni sorridere mentre leggono questa mia tirata vecchia ormai di decenni!).

Arriva però un giorno, di tanto in tanto, in cui occorre fare un’eccezione e parlare di Italia in pubblico, uscendo dalla torre d’avorio per cercare di parlare (ad almeno una piccola parte) di quelle decine di milioni di concittadini per bene, che sanno quali siano i problemi veri dell’economia, un giorno in cui diventa dovere assoluto denunciare il fatto che l’uso dell’ideologia avulso da qualunque riferimento ai fatti e alla teoria economica assume il tono di campagna di disinformazione permanente. Quel giorno occorrerà dire con forza quali sono i fatti, e con ciò mostrare che il re è nudo. Come, peraltro, tutti coloro che conosco sanno e mi dicono. Anche quelli che non conoscono la teoria economica così bene, perché rimane vero che il buon senso (onesto) e la buona teoria economica sono in forte sintonia.

Questo è uno di quei giorni.

La struttura di questa pubblicazione è un po’ arzigogolata ma divertente. Ogni due settimane aggiungerò al documento base un ‘Fatto’. E ciò verrà annunciato ai lettori attraverso i soliti canali: Twitter, Linkedin, ecc. L’elenco dei Fatti su www.scenarieconomici.com sarà dunque sempre più lungo al passar del tempo. Perché il lavoro di sbugiardamento durerà molto a lungo.

Fatto  n. 5: La competitività delle imprese italiane è relativamente bassa perché c’è lo Stato burocratico e il sindacato blocca le riforme. FALSO. Sono gli investimenti a generare aumenti della produttività del lavoro, e dunque della competitività. Ma le imprese italiane non investono.

Dopo tre ‘Fatti’ dedicati a far giustizia delle banalità che occupano la maggioranza (purtroppo non silenziosa) ad attribuire a chi lavora la responsabilità di questa crisi, proseguiamo ora con il secondo di quattro ‘Fatti’ dedicati alle imprese. Nel Fatto n. 4 ci siamo chiesti come mai abbiamo difficoltà ad attirare investimenti dall’estero. E abbiamo sostenuto che, scontate le banalità, la risposta è essenzialmente una: che le imprese del nostro paese sono in gran parte specializzate nella produzione di beni ad alta intensità di lavoro non qualificato, e che gli investitori esteri preferiscono, se interessati a produrre quelle merci, farlo in paesi in cui il costo del lavoro è drammaticamente più basso di quanto non sia in Europa (nonostante il costo del lavoro in Italia sia già più basso di quello di paesi europei ad alto reddito pro capite, cfr. il Fatto n. 2). E abbiamo anche detto che troviamo divertente il lamento di chi vorrebbe più investimenti dall’estero, ma non investe egli stesso.

Oggi torniamo sulla questione della spesa per investimenti nel nostro paese. Per enfatizzare le differenze tra imprese italiane e imprese tedesche, Figura 1 riporta l’andamento dell’investimento fisso lordo in Germania e in Italia nel periodo 1999-2013.

Figure 1: Gross Fixed Capital Investment, annual data, 1991 – 2013

2014 12 07 Fatto 5 - Figura 1
Fonte: Eurostat, ottobre 2014

Per ragioni puramente dimensionali delle due economie, la curva relativa alla Germania giace ‘ovviamente’ al di sopra di quella relativa all’Italia. La differenza interessante sta nel modo in cui le imprese delle due economie hanno reagito alla Grande Recessione annunciata nel 2007 ed iniziata nel 2008: le imprese tedesche investendo di più, quelle italiane investendo di meno. Punto.

Certo, una rondine non fa primavera: che le imprese tedesche facciano meglio di quelle italiane è comprensibile; ma quelle degli altri paesi europei? Figura 2 offre una comparazione degli andamenti della formazione di capitale fisso netto a prezzi correnti nel settore privato dal 2000 al 2013, e previsioni 2014-2016. Imprese italiane? Riga rossa.

Figure 2. Net fixed capital formation at current prices: private sector (UINP) (Cliccare sull’immagine per ingrandirla)

2014 12 07 Fatto 5 - Figura 2.png

Fonte: Eurostat, ottobre 2014; NB. Previsioni per il periodo 2014-2016

C’è fatalmente poco da discutere. Ma forse occorre attirare l’attenzione che la ‘ripresa degli investimenti’ prevista per il 2014, 2015 e 2016 non si realizzerà, certamente non per quanto riguarda gli investimenti del settore privato dell’economia. (Il lettore è invitato a prendere nota di questa proposizione e verificarla a fine anno per i prossimi tre anni.)

La responsabilità delle imprese italiane è immensa.

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