Mentre la capitalizzazione del mercato azionario cinese cresceva tra il 2004 e il 2005 a ritmi mai visti, molti tra noi discutevano di quantitative easing (gennaio-marzo), tassi di interesse negativi sui titoli del debito pubblico (marzo-maggio), andamento dell’occupazione negli Usa (tutti i mesi). Ora, il problema all’ordine del giorno è quello della ‘crisi cinese’. Prima i fatti, poi l’interpretazione.
I fatti
- Lo Shanghai Composite Index è caduto del 14,1% nel solo mese di luglio
- Le riserve in valuta presso la banca centrale cinese sono diminuite per quattro trimestri consecutivi
- Le importazioni cinesi sono diminuite del 17% nel solo mese di luglio
- Lunedi 25 luglio il prezzo del rame era al minimo da sei anni
- Il prezzo del BRENT è sceso sotto i $50/barile
- Il prezzo dell’oro è sceso rapidamente attorno ai 1100 US$ l’oncia
- Standard & Poor’s annuncia che al Brasile potrebbe essere negato lo status di paese ‘investment grade’
- Quasi tutte le valute dei paesi emergenti sono in forte deprezzamento
Basta? I fatti qui elencati non sono scorrelati tra loro. Tutt’altro. E presi insieme essi non lasciano prevedere molto di buono per l’economia mondiale. In sintesi, la ragione di ciò è che la parte finanziaria della crisi sarà tutto sommato gestibile, ma quella reale avrà un impatto duro sulle economie di tutto il mondo.
L’interpretazione
Nell’ultimo quarto di secolo l’economia cinese è cresciuta a tassi da miracolo in gran parte degli anni e negli altri si sono visti dei modesti 7%! Occorre chiedersi quali siano le fonti della crescita, o si rischia di dare alla situazione attuale cinese una valenza soltanto finanziaria.
I non economisti tendono a sottovalutare il significato vero della crescita. La quale, se misurata dalla variazione del pil da un anno all’altro, avviene (semplificando un po’) per due ragioni:
- Per l’inglobamento nell’economia di mercato di persone e attività che nel mercato non erano nel periodo precedente. L’esempio tipico è quello di una famiglia che viva in una zona rurale e che dedichi gran parte della propria attività lavorativa alla produzione per l’autoconsumo. I prodotti dello sforzo lavorativo non passano per il mercato, e dunque non possono essere contabilizzati nel pil. Quando l’attività non è più diretta all’autoconsumo allora essa viene contabilizzata e il pil aumenta.
- Per l’aumento, anno dopo anno, della produttività dei fattori della produzione occupati.
È evidente che i due fenomeni hanno una rilevanza completamente diversa sulla crescita del pil: il primo spinge risorse, lavoro in primo luogo, verso l’economia di mercato; il secondo ‘assume’ l’esistenza di un’economia di mercato e ne fa aumentare la capacità di produrre.
Gli imponenti movimenti migratori dalla campagna alle città che hanno caratterizzato La Cina, e con lei tutte le economie emergenti, hanno contribuito fortemente per decenni alla crescita dell’economia di mercato. Ma ora il fenomeno ha cominciato a rallentare, e la crescita della produttività assume un ruolo sempre più importante se il paese vuol mantenere tassi di crescita comparabili a quelli del passato quarto di secolo.
Effetti sull’economia mondiale
Se, come credo, questa ‘crisi’ cinese è si finanziaria ma ha anche un carattere fortemente reale, allora ciò che ci deve preoccupare è quali potrebbero essere gli effetti sul resto del mondo. Perché gli effetti di una crisi puramente o prevalentemente finanziaria sono sostanzialmente contenibili, ma quelli di una crisi reale no. Vale a dire che una crisi finanziaria in Cina verrà trattata, mutatis mutandis, allo stesso modo in cui è stata trattata la crisi del credito del 2007 e seguenti, cioè con una espansione monetaria forte.
Dal punto di vista dell’economia reale, invece, sarà più problematico contenere la crisi, poiché molti sono i canali mediante i quali il rallentamento dell’attività in Cina spingerà alla contrazione le economie del resto del mondo:
- Le importazioni. Una loro caduta è necessariamente caduta di domanda di merci prodotte all’estero. Questo fenomeno toccherà sia le economie che forniscono alla Cina semilavorati ed intermedi, quale è il caso di gran parte dei paesi del sud-est asiatico, sia le economie ad alto reddito pro-capite, che forniscono in quantità automobilistici, farmaceutici, meccanici, beni di consumo;
- Le esportazioni. Una caduta della crescita non può essere, e non sarà, lasciata pagare tutta al consumo interno. Anche le esportazioni dovranno ridursi in qualche proporzione, e dunque dovranno ridursi gli approvvigionamenti del resto del mondo dalla Cina;
- Gli investimenti diretti. Questi cadranno in entrambe le direzioni: dal resto del mondo verso la Cina perché il ridimensionamento della crescita produttiva cinese li renderà meno attraenti; e dalla Cina verso il resto del mondo, perché il ridimensionamento della crescita produttiva genera meno capitale disponibile per l’impiego all’estero.
Non vedo un buon autunno-inverno.