La lunga via della FED verso la ‘normalità’ (monetaria)

  1. Gli antefatti: fino al 2007

Fino alla Grande Crisi Finanziaria iniziata nel 2007 con la crisi di Bear Sterns (2008 per chi preferisse datarla dal fallimento di Lehman Brothers) la politica monetaria ‘strategica’ veniva condotta attraverso le variazioni del tasso di sconto. Il modello teorico che sosteneva questa scelta era quello in cui ancora molti credono: tagli (aumenti) del tasso di sconto servivano a rendere il credito alle banche commerciali meno (più) costoso, il che induceva le banche a tagliare (aumentare) i tassi attivi e, così facendo, rendere meno (più) costoso il finanziamento degli investimenti e delle spese per consumi. In questo quadro le vendite (gli acquisti) di titoli da parte della banca centrale, transazioni note come ‘operazioni di mercato aperto’ servivano prevalentemente come strumenti per la stabilizzazione dei tassi di mercato, ma non venivano usate come strumenti di politica di lungo periodo.

  1. Gli antefatti: 2008-2014

L’ultima operazione sul tasso di sconto da parte della Fed avvenne alla fine del 2008, nel bel mezzo della Grande Recessione. Come si può vedere nella figura 1, con il tasso di sconto ormai prossimo allo zero la Fed decise di intervenire sul mercato monetario con strumenti diversi, cosa che fece semplicemente dando valore strategico, e non più solo di stabilizzazione di breve, alle operazioni di mercato aperto: ciò che venne chiamato ‘Quantitative Easing’ (QE).

20170712 La lunga via della FED verso la normalita

La Fed cominciò con l’acquistare per pochi centesimi sul dollaro molti titoli accumulati dalle banche ma inesigibili sul mercato dei privati, aiutando quindi le banche stesse a liberarsi di questi ‘titoli tossici’ e a ricostruire bilanci meno fasulli. Ovviamente, allo stesso tempo si presentò come acquirente di titoli del debito pubblico, e anzi la quota di questi sul totale degli acquisti aumentò negli anni.

Fu così che il portafoglio titoli detenuto dalla Fed, il suo bilancio, passò dai circa 800 miliardi di dollari del 2007 ai circa 4500 miliardi di dollari del gennaio 2015, mese dal quale è stato stabilizzato (figura 2).

20170712 La lunga via della FED verso la normalita_figura2

3. Il processo di normalizzazione

I discorsi sulla ‘normalizzazione’ del bilancio della Fed non sono di oggi: i ‘principi per la normalizzazione’ vennero adottati dal Federal Open Market Committee nel 2011. Cosa importante da ricordare, questa, per non perdere di vista il fatto che non è vero che ‘la Yellen vuole la normalizzazione’, come si legge spesso, mentre è vero che si tratta di una politica ben radicata nella storia recente della Fed, che risale al periodo in cui Bernanke ne era presidente.

3.1 Un primo tentativo di ‘normalizzazione’

La parola ‘normalizzazione’ fa riferimento alla volontà di ricondurre a valori ‘normali’ la dimensione del portafoglio titoli della Fed. Ovviamente, trattandosi di un obiettivo di politica economica di ‘normale’ non c’è assolutamente nulla, tanto è vero che oggi, nel 2017, il FOMC non si sbilancia a dire quale sia il valore-obiettivo del portafoglio, limitandosi a dire che idealmente esso sarà inferiore a quello attuale, 4500 miliardi di dollari, ma maggiore di quello pre-crisi, 800 miliardi.

Né si tratta di una cosa completamente sconosciuta. Infatti il 21 maggio 2013 il presidente Bernanke annunciava la volontà di cominciare a ridurre gradualmente (tapering) il tasso di espansione del portafoglio della Fed. Questo venne interpretato dai mercati finanziari come il segnale che la fase di QE si andava concludendo e che, venendo meno la parte di domanda di obbligazioni garantita fino ad allora dalla Fed, i prezzi delle obbligazioni sarebbero crollati –e i loro rendimenti aumentati in proporzione, ovviamente. Il che portò alla reazione atterrita e isterica (tantrum) da parte di banche, fondi e investitori in genere, che vendettero in massa nel tentativo di anticipare il crollo dei prezzi (figura 3). Un buon pezzo, sintetico, da leggere su quell’evento e sulle modalità previste di tapering potrebbe essere quello di Anatole Kaletski del 19 settembre di quello stesso anno.

20170712 La lunga via della FED verso la normalita_figura3

3.2 La normalizzazione versione giugno 2017

Qui riporto semplicemente, con brevi commenti a seguire in corsivo e tra parentesi, i più importanti punti salienti del piano di normalizzazione contenuti nel documento Policy Normalization Principles and Plans del 16 settembre 2014, aumentato il 14 giugno 2017 da un FOMC Addendum to the Policy Normalization Principles and Plans (il link che fornisco è al solo comunicato stampa. Chi fosse interessato al dettaglio può ovviamente consultare direttamente il sito della Fed).

  • Prima che le operazioni di riduzione dell’ammontare di titoli detenuti dalla Fed abbiano inizio, occorre che le operazioni di normalizzazione del federal funds rate siano ben avviate (mio commento, fs: questa proposizione non esplicita, ovviamente, il valore del tasso che darebbe via libera alla riduzione del portafoglio titoli. Visto che tale tasso si trova oggi nell’intervallo-obiettivo dell’1-1,25%, già un po’ lontano da quello 0% degli ultimi anni, si può immaginare che un solo altro aumento da questo valore al valore 1,25-1,50% potrebbe essere sufficiente. La Fed avrebbe spazio per tale aumento a luglio e a settembre);
  • Non si avrà la vendita diretta di titoli ma, assai gradualmente, la riduzione del reinvestimento dei rimborsi dei titoli giunti a scadenza effettuati dagli emittenti a favore del detentore (la Fed). (Una manovra assai più aggressiva consisterebbe nella vendita di titoli in possesso della Fed, ma si teme che questa scelta provocherebbe un taper tantrum da far impallidire quello del 2013). In particolare:
  • Della liquidità ottenuta dalla Fed a rimborso dei buoni del tesoro in suo possesso giunti a maturità, inizialmente non ne verrà reinvestita per 6 miliardi di dollari al mese, con aumenti di 6 miliardi ogni tre mesi per dodici mesi, fino al raggiungimento del limite di 30 miliardi al mese;
  • Della liquidità ottenuta dalla Fed a rimborso delle obbligazioni non-treasury in suo possesso giunti a maturità, inizialmente non ne verrà reinvestita per 4 miliardi di dollari al mese, con aumenti di 4 miliardi ogni tre mesi per dodici mesi, fino al raggiungimento del limite di 20 miliardi al mese;
  • Questi quantitativi ‘a regime’ rimarranno tali a lungo perché la riduzione della dimensione del portafoglio titoli sia graduale e prevedibile dagli agenti economici;
  • Il FOMC riafferma che, mentre il suo strumento strategico di policy rimane il federal funds rate, esso è pronto a riprendere le operazioni di acquisto di obbligazioni (cioè ritorno al QE) se le condizioni lo richiedessero

4. Nota conclusiva

  1. Il taper tantrum che seguì l’annuncio del 21 maggio 2011 difficilmente si ripeterà, ma un aumento dei tassi di mercato è inevitabile. Il processo di riduzione della dimensione del portafoglio titoli detenuto dalla Fed, così come l’aumento del tasso sui federal funds, appaiono oggi controllati meglio di quanto non lo fosse allora. Peraltro, le dimensioni dell’intervento mensile sono tali che si può prevedere per il processo di normalizzazione una durata di anni e anni;
  2. Un primo elemento critico è di tipo strettamente economico: anche se la procedura adottata fosse scevra di risultati negativi sui mercati, rimane il fatto che l’economia mondiale è immersa in una fase che viene da molti identificata come di ‘stagnazione secolare’ (ad esempio, Robert Gordon e Lawrence Summers, Paul Krugman e Joseph Stiglitz). Ridurre la liquidità in circolazione nel sistema, aumentando al contempo i tassi, non sembra possa dare all’economia reale lo stimolo di cui abbisogna da anni;
  3. Infine, il problema su cui occorre riflettere davvero. Se la banca centrale smette di impiegare i proventi ricavati dai titoli arrivati a maturità e quindi esigibili, CHI la sostituirà? Certo non sembra poterlo fare il tesoro, che dovrebbe emettere nuove obbligazioni per poterlo fare: ma se viene meno, pur se gradualmente, il supporto della banca centrale, occorrerà che i tassi salgano veramente in maniera sensibile per tornare ad attrarre investitori. E questo è un fenomeno di non poco conto, specialmente se gli investitori fossero reticenti all’acquisto –ad esempio perché osservano inflazione crescente.

 

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