2021 01 23
Daniele Langiu, daniele.langiu@gmail.com
Fabio Sdogati, sdogati@mip.polimi.it
Premessa
Negli anni della Grande Recessione, convenzionalmente 2007-2009 negli Usa e 2008-2012 in Europa, una delle grandi preoccupazioni di una parte di economisti e di gran parte della stampa era che gli stimoli monetari e fiscali adottati, dove lo furono, per contrastare la recessione, avrebbero prodotto inflazione. Come si sa, non solo ciò non è avvenuto, ma mentre le banche centrali statunitense (dal 2008 al 2014) ed europea (dal 2012 al 2019) adottavano misure di espansione monetaria mai viste prima per intensità e durata, il tasso di inflazione continuava a cadere, e raggiungere il famoso 2% annuo è stato impossibile.
Oggi ci ritroviamo nello stesso dibattito: da un lato sono coloro (tra cui chi scrive) che sostengono che per uscire da questa crisi in maniera sostenibile i governi debbano deliberare stimoli fiscali enormi, parte di emergenza e parte più strutturali quali quello previsto dal piano Next Generation Europe; dall’altro sono coloro che continuano a ritenere che ciò produrrà spinte inflazionistiche devastanti; e ritengono anche che l’iperinflazione sarà un modo per svalutare il debito accumulato dai governi.
- Le previsioni basate sulla teoria economica
Noi sosteniamo che la crisi generata dalla diffusione del SARS-CoV-2 è, dal punto di vista economico, una crisi prevalentemente da domanda: ciò equivale a dire che gli effetti sulla struttura e sulla capacità produttiva delle imprese sono stati, sono e saranno di entità lieve, e che il danno principale alle economie verrà dalla caduta del reddito delle famiglie da un lato e, in misura molto pesante, dal conseguente aumento della loro propensione a risparmiare. Parallelamente, prevediamo una ulteriore diminuzione della propensione ad investire da parte delle imprese. Per una valutazione dei tempi e delle traiettorie della ripresa nei maggiori paesi ad alto reddito pro capite si veda http://bit.ly/2K164cB. In questo ambiente, le spinte inflazionistiche sono deboli, e non prevediamo che esse assumano forza sufficiente a superare il 2.0% nel 2021 rispetto al 2020. Va sottolineato che le previsioni della BCE sono per un tasso di inflazione attorno all’1,4%, una stima notevolmente più bassa della nostra.
Fare previsioni sul più lungo periodo è ovviamente difficile, poiché in questo caso entrano in gioco fattori che, appunto, appartengono ai cicli di lungo periodo dell’economia, le determinanti fondamentali del movimento economico. La nostra analisi può essere così riassunta.
La fiammata inflazionistica degli anni ’70 e, in alcuni paesi, anche ’80, fu dovuta in primo luogo al potente shock negativo da offerta dovuto all’aumento del prezzo in dollari dell’energia. A seguire, la forza delle organizzazioni sindacali si esplicitò nella difesa del potere di acquisto dei salari, e quella dei produttori negli aumenti dei prezzi imposti a difesa dei margini di profitto.
Progressivamente, la perdita di forza del sindacato dei lavoratori in tutto il mondo industrializzato, la globalizzazione dei processi produttivi, l’immigrazione di massa dai paesi a reddito pro capite basso e bassissimo, hanno prodotto un ciclo deflazionistico che neanche le banche centrali che lo desideravano riuscirono ad ostacolare fino allo shock da SARS-CoV-2. Parlare oggi di inflazione, dunque, vuol dire parlare di inversione del ciclo inflazionistico: quando potrebbe avvenire questa inversione?
Noi riteniamo che ciò avverrà quando: 1. I flussi migratori saranno stati ricondotti a livelli ‘normali’, cioè quando non si vedrà più l’eccesso di offerta di lavoro vista negli ultimi due decenni; e quando le organizzazioni dei lavoratori potranno tornare a contrattare il costo del lavoro da una posizione non di debolezza estrema come è avvenuto negli ultimi due decenni. Queste condizioni potrebbero cominciare a verificarsi a partire dal 2023 circa.
2. Le previsioni in numeri
2.1 Previsioni di inflazione
Qui di seguito riportiamo le previsioni pubblicate il 13 ottobre 2020 dal Fondo Monetario Internazionale, quelle pubblicate il 5 novembre dalla Commissione europea, e quelle Istat relative alla sola Italia del 30 novembre.Le previsioni del FMI mostrano che solo gli Stati uniti, tra i paesi del G7, registreranno un’inflazione superiore al 2% prima del 2022. Tra 2024 e 2025, anche Regno unito e Canada raggiungeranno un’inflazione del 2%, a differenza degli altri paesi inclusa l’Unione europea in cui l’inflazione rimarrà al di sotto di tale soglia.

La Commissione europea stima per l’Unione europea nel suo complesso un’inflazione dello 0,7% nel 2020, dell’1,3% nel 2021 e dell’1,5% nel 2022, mentre per l’Unione economica e monetaria un’inflazione dello 0,3 nel 2020, dell’1,1% nel 2021 e dell’1,3% nel 2022 (Tabella 2).

Per l’Italia, l’Istat stima una diminuzione dei prezzi nel dicembre 2020 rispetto al dicembre 2019 dello 0,1%, in aumento dello 0,3% rispetto a novembre 2020. Il paese si trova dunque chiaramente in deflazione (Figura 1).

Infine, Tabella 3 e Tabelle 4 mostrano le previsioni dell’ufficio ricerche di Unicredit, pubblicate a novembre 2020, su inflazione per trimestre e anno-su-anno.
Anche, in questo caso, l’inflazione dei paesi dell’Area euro resterà sotto il 2% fino almeno fino al 2022, ultimo anno dell’orizzonte di previsione di Unicredit. Anche gli altri paesi ad alto reddito pro-capite dell’Europa registreranno bassa inflazione fino al 2022.


2.2 Aspettative di inflazione
Dalla Federal Reserve Bank di St. Louis: da luglio 2020 le aspettative di inflazione per gli Stati uniti sono in aumento.

Aspettative di inflazione per gli Stati uniti, basate sui prezzi dell’energia e tassi di interesse (Via Lance Roberts).

2.3 Alimentari

2.4 Europa, andamento dei prezzi ottobre 2020 / ottobre 2021 per classi di prodotti

Osservazioni conclusive
- La previsione ‘di consenso’ sembra essere che nel 2021 il tasso di inflazione sarà inferiore al 2,0% in gran parte dei paesi ad alto reddito pro capite
- Nel 2022 e nel 2023 si dovrebbe vedere un aumento graduale fino ad un limite superiore del 3%
- L’Italia è attualmente in deflazione, e quindi ci si attende tassi di crescita dei prezzi ancora più bassi
- Evidenza sui singoli settori mostra che i tassi di inflazione attesi presentati sopra sono, ovviamente, una media dei tassi settoriali, e che questi possono variare molto da settore a settore: pressioni inflazionistiche non banali sembrano venire dal settore degli alimentari a livello mondiale
- Se di prospettive di inflazione sostenuta si può parlare, lo si deve fare con riferimento al cambiamento delle condizioni strutturali dell’economia (cfr. il punto 1. sopra) quali una forte ripresa dell’attività economica, il forte rallentamento dei movimenti migratori, una ripresa sostanziale di potere contrattuale da parte delle organizzazioni sindacali.
Nel salutarvi e ringraziare mi permetto di osservare che, per avere un incremento di inflazione generalizzata, avremmo bisogno di un consistente aumento nel tasso di occupazione (oggi 13,5 mio sono inattivi), di una altrettanto consistente crescita di ore lavorate (oggi abbiamo “attivi” che lavorano poche ore a settimana), e di un sostanziale incremento del salario reale; solo a pandemia superata e con tale quadro realizzato (mi pare assai poco probabile) potremo assistere ad un aumento dei prezzi tale da raggiungere il 2% a casa nostra; molto diverso invece lo scenario tedesco; chi produce e distribuisce beni non si aliena una fetta consistente del mercato per capriccio e proseguirà con politiche di segmentazione e differenziazione per brand (anche solo apparenti) pur di mantenere i volumi. Saluti vivissimi, FC
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Grazie, osservazioni preziose! Stay in touch!
DL&FS
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