Non era solo campagna elettorale, Trump mantiene le promesse (purtroppo)

Settimana scorsa ho posto il problema dell’uso che Trump stava facendo di May per promuovere la propria spinta reazionaria verso il ritorno al modello ottocentesco di stato nazione. La May, ovviamente, gradisce, poiché sa bene che al proprio interno ha contro il 48% degli aventi diritto al voto, così che il sostegno del grande fratello non può che portare rassicurarla. Peccato per lei, e per quelli come lei ovunque risiedano, e fortuna per tutti gli altri, che la Corte Suprema abbia ristabilito la certezza del diritto, sentenziando che non può essere un governo a disfare quello che il parlamento ha fatto.

Oggi voglio fare una cosa tra l’ambizioso e l’odioso: voglio valutare gli accadimenti di questa ultima settimana a Washington, DC. Perché ambiziosa? Perché tanto le grandi firme del giornalismo mondiale che gran parte degli analisti finanziari sembrano molto cauti ad esprimere valutazioni su ciò che ci si può aspettare dalla nuova amministrazione, tanto sul piano finanziario che su quello economico. E odiosa, perché sa tanto di ‘adesso velo dico io come stanno le cose.’ Appunto. L’obiettivo, come sempre, è costruire uno scenario plausibile, di fronte al quale poi ciascuno farà quel che crede.

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Corbynomics: vicende politiche e dibattito sulla stagnazione

Da sette anni, in Europa, si registra una disconnessione totale tra analisi economica e politica economica. La teoria economica dice che da una recessione, in particolare se grave come quella che colpì i paesi ad alto reddito pro capite nel 2008-2009, si esce stimolando la domanda aggregata, cioè la spesa per consumi e investimenti (modalità e proporzioni tra le due sono a discrezione del governo). La politica economica attuata in Europa va da sette anni esattamente nella direzione opposta: il nome che si sono scelti i governanti europei è austerità. Che suona bene, ma fa sanguinare l’economia. Continue reading “Corbynomics: vicende politiche e dibattito sulla stagnazione”