Effetti poco discussi di un Quantitative Easing

Ancora un esempio di una ‘verità’, o almeno di una ‘regolarità storica’. Eccolo: la verità non esiste. E noi non vediamo le cose come sono, le vediamo invece come siamo.

Nei miei anni di dottorato, a cavallo tra la fine degli anni settanta e la prima metà degli ottanta, impazzava la cosiddetta ‘scuola monetarista’, o ‘liberista’, o ‘delle aspettative razionali’ o, ancora, del ‘libero mercato’. Nonostante io fossi in una scuola in cui quelle idee ripugnavano a gran parte dei docenti e a praticamente tutti gli studenti, l’atmosfera la si respirava comunque. E, per venire al punto, si respirava in particolare l’odio profondo per tutto quello che aveva a che fare con la politica fiscale, e l’amore incondizionato per tutto quello che aveva a che fare con la politica monetaria. Questo non deve sorprendere: lo Stato era ed è il nemico principale (assieme al Sindacato) di coloro che hanno fede nel libero mercato.

Questo odio si materializzava anche nei libri di testo nei quali, oltre a modelli matematici e analisi formalmente ineccepibili, si arrivava a denigrare (si, denigrare) le politiche di tassazione e di spesa e a osannare quelle monetarie. Esempi:

  1. La politica fiscale è lenta, sosteneva il pensiero (quasi) unico del tempo, è lenta perché l’autorizzazione alla spesa deve essere data dal legislatore, e questi spende tempo a discutere, contrattare, limare. E poi, una volta approvata la spesa, occorre fare i bandi di concorso, le aste, avviare i lavori. La politica fiscale è lenta. La politica monetaria invece è veloce, il processo decisionale è ristretto (negli Usa) al Federal Open Market Committee, composto di pochi funzionari tutti competenti, mentre il Congresso è composto di persone di estrazione varia e che, soprattutto, rappresentano interessi diversi.
  2. La politica fiscale, sostenevano, è discriminatoria, perché usa i proventi dell’imposizione generale per finanziare progetti che beneficiano solo alcuni. La politica monetaria invece genera benefici simmetrici, no? Un taglio del tasso di sconto riduce il costo dell’indebitamento per tutte le imprese allo stesso modo, per tutte le famiglie allo stesso modo, per tutte le aree del paese allo stesso modo. La politica monetaria, si voleva dire, è egualitaria. Incredibile.

Oggi, tanti anni dopo, leggo un articolo del Financial Timesche cita ampiamente alcune preoccupazioni del presidente BCE relative a effetti potenzialmente negativi ma non sufficientemente discussi e analizzati (2015 Michel Camdessus Central Banking Lecture, IMF Headquarters, Washington DC,May 14, 2015). Due le preoccupazioni principali cui fa riferimento Draghi: instabilità finanziaria e diseguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza.

Intendiamoci: Draghi non ha detto assolutamente nulla di nuovo. Sono cose che già diversi presidenti di Fed regionali esprimono da un paio d’anni, almeno per quanto riguarda il rischio di instabilità finanziaria; gli economisti keynesiani parlano di queste cose dal 2009; perfino i repubblicani statunitensi ne parlano, timorosi come sono che le espansioni monetarie sostenute erodano i rendimenti del titoli obbligazionari.

Ma ci sono almeno due ragioni per essere contenti di queste posizioni di Draghi:

  1. La prima è che la loro esternazione da parte del presidente della BCE segnala una presa di distanza importante dalla fede monetarista che ha dominato la BCE fin dalla sua costituzione (anzi, fin dal Trattato di Maastricht del febbraio 1992);
  2. La seconda è che si prende atto del fatto che la politica monetaria non è affatto neutrale neanche rispetto alla distribuzione dei redditi e della ricchezza. E questo non è poco.

Non direi che il vento è cambiato, ma di strada ne abbiamo fatta.

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