Vogliamo parlare di banche? Volentieri.

Come siamo arrivati a questo punto?

C’era una volta il 2007, anno in cui venimmo a conoscenza del fatto che la famosa ‘banca universale’ e la celebrata ‘ingegneria finanziaria’ degli anni novanta avevano prodotto profitti enormi per i propri azionisti e remunerazioni scandalose per i propri dirigenti (ovviamente tutto il personale bancario godeva, come si sa, di condizioni di lavoro privilegiate assai, tanto è vero che ogni mamma che si rispetti sognava per il figlio ‘il posto in banca’). Ma venimmo anche a sapere che i loro bilanci erano in condizioni talmente disastrate che esse smisero addirittura di far credito l’una all’altra, sorella che affama (di credito) la sorella perché sorella sa bene che il bilancio della sorella è disastrato, e quindi non le estende credito. Lo chiamarono, e noi copiammo l’espressione, credit crunch, congelamento del credito.

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Le banche tra finanziarizzazione dell’economia mondiale e frammentazione internazionale dei processi produttivi

di Daniele Langiu, Francesco Morello e Fabio Sdogati

Molti si sono chiesti, negli ultimi anni, perché gli economisti non abbiano previsto la crisi attuale. Tra le molte risposte possibili, e probabilmente corrette, quella che preferiamo è che la professione non si occupa più, in generale, dell’economia nel suo complesso, della sociologia dei rapporti economici, delle implicazioni economiche di cambiamenti nella normativa: di quel metodo, cioè, che  pure era dei classici, quando ciò che oggi chiamiamo “economia” era chiamato “filosofia morale”.

In questo lavoro cerchiamo, nei nostri limiti, di recuperare quel metodo per studiare il modificarsi nel tempo del ruolo delle banche in un contesto di finanziarizzazione dell’economia mondiale e  frammentazione internazionale della produzione.

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