Dalla globalizzazione alla regionalizzazione: come sta cambiando la composizione geografica dei flussi commerciali bilaterali degli Usa?

24 04 07

Daniele Langiu, Daniele.Langiu@gmail.com

Fabio Sdogati, sdogati@gsom.polimi.it

Introduzione

Da alcuni anni stiamo affrontando da un punto di vista teorico alcune questioni inerenti la nuova forma di globalizzazione che sembra progressivamente emergere dalle spinte di disaccoppiamento / derisking dei Governi, in particolare Usa e Ue. Questa nuova forma ha la caratteristica di essere ‘regionale’, con un’accezione sia geografica sia politica. In sintesi, sulla base delle dichiarazioni dei Governi e delle politiche industriali e commerciali adottate, siamo arrivati a formulare la tesi secondo cui la crescita degli scambi di merci e gli investimenti, a parità di altre condizioni, sarà maggiore all’interno di una regione formata da paesi affini dal punto di vista politico e, in secondo luogo, vicini da un punto di vista geografico, rispetto a quella tra due regioni ‘non affini’ dal punto di vista politico. Per dirlo in modo più eclatante: ci sembra che il modello ricardiano del vantaggio comparato, con il quale per due secoli abbiamo spiegato direzione e composizione dei flussi commerciali internazionali, stia perdendo progressivamente di importanza come spiegazione della direzione e della composizione merceologica dei flussi commerciali i quali, sembrerebbe di poter dire, sono (e saranno) in primo luogo determinati dalla politica in qualche forma di combinazione con la geografia, e solo infine dal vantaggio comparato. Il che è sostanzialmente quello che avviene nella transizione da un modello di globalizzazione ‘di mercato’ ad uno di ‘globalizzazione’ politica a fondamento nazionalista.

È evidente che il concetto di ‘regione’ che abbiamo appena introdotto è difficile da definire perché, molteplici sono i criteri che concorrono a identificare una ‘regione’: le scelte politiche, la posizione geografica, la specializzazione produttiva, probabilmente in questo ordine di importanza. In quel che segue non avremo la presunzione di perseguire il problema sul piano teorico per determinare quali siamo i contributi relativi di ciascuna di queste forze alla definizione di ‘regione.’ Piuttosto, obiettivo di questo articolo è proseguire l’analisi empirica che abbiamo già avuto modo di trattare qui e qui riguardante l’evoluzione della composizione merceologica e della direzione geografica degli scambi di merci degli Stati uniti a partire dal 2016, e provare ad individuare dei tratti ‘misurabili’ del processo di regionalizzazione degli scambi.

Abbiamo già avuto modo di esplicitare le ragioni per la scelta degli Stati uniti come Paese di interesse primario e dell’anno 2016 come punto di partenza della nostra analisi: in breve, le nostre ragioni sono riconducibili al fatto che il modello di globalizzazione che abbiamo sperimentato a partire dalla metà degli anni Settanta è entrato in crisi a partire dal 2016, quando gli Usa hanno adottato l’orientamento noto come Make America Great Again (MAGA) ripristinando dazi e restrizioni quantitative alle importazioni, in particolare quelle provenienti dalla Cina. Tale orientamento ha guidato tutta la fase dell’Amministrazione Trump ed è poi stato adottato anche dall’Amministrazione Biden con un’enfasi ancora maggiore sulle implicazioni della priorità delle considerazioni di sicurezza nazionale degli Usa rispetto al ‘libero commercio’.

  1. Identificazione delle ‘regioni’

In assenza di un modello teorico che aiuti ad individuare i criteri per l’identificazione di una ‘regione’, anche dal punto di vista empirico è particolarmente complesso scegliere le variabili sulla base delle quali le ‘regioni’ possano essere identificate. Nel nostro paradigma una ‘regione’ è costituita dall’insieme di quei Paesi che, nel passare dalla fase della globalizzazione neo-liberista 1976-2016 alla globalizzazione politica, si ‘raccolgono’ attorno ad uno dei due attori principali nella scena mondiale. Un modo per farlo, certo piuttosto rozzamente, sarebbe ricorrere al criterio ordinatore della quota delle importazioni Usa da ciascun paese sul totale delle importazioni Usa da tutto il mondo. Un simile indicatore può essere usato in ambiente statico, cioè per mostrare l’ordinamento del grado di integrazione tra economia Usa ed economie dei paesi partner commerciali ad un dato momento nel tempo; e può essere usato anche per tracciarne l’evoluzione del tempo.[1] 

In questo nostro primo tentativo di avvicinarci al concetto di ‘regione’, cioè di identificare quali siano i Paesi con i quali gli Usa stanno costruendo la prima regione, dobbiamo forzatamente[2] adottare un modo di procedere per tentativi. Abbiamo quindi deciso di selezionare i Paesi potenzialmente interessanti per gli Usa tra quelli riportati in Tabella 1.

Tabelle 1 e 2 riportano l’ordinamento dei principali Paesi partner commerciali degli Usa per valore di importazioni Usa (Tabella 1) ed esportazioni Usa (Tabella 2) nel gennaio 2024.

Per ridurre il numero degli elementi dell’insieme dei Paesi candidati, usiamo in primo luogo un approccio ‘storico’, per quanto l’uso di questo aggettivo sia un atto piuttosto presuntuoso da parte nostra. Ricorrendo alla storia più o meno recente dei rapporti commerciali e produttivi degli Stati uniti con altri Paesi, abbiamo selezionato dapprima Messico e Canada, due Paesi che hanno una lunga storia di rapporti commerciali e produttivi privilegiati con gli Usa. Riassumendo brevemente, dal 1°gennaio 1994 Stati uniti, Messico e Canada aderivano al North American Free Trade Association (NAFTA), una Associazione, appunto, mirante alla progressiva liberalizzazione del commercio estero tra i tre al di là e al di sopra della liberalizzazione che era caratteristica essenziale del processo di globalizzazione di mercato. Il 1°gennaio 2020 il NAFTA viene abbandonato e al suo posto i tre Paesi adottano lo United States, Mexico and Canada Agreement (USMCA), un accordo molto potenziato rispetto al NAFTA e che presta maggiore attenzione all’integrazione produttiva tra i tre Paesi, regolandone sia i rapporti di traffico commerciale ‘tradizionale’ che il ricorso a catene globali di produzione e di approvvigionamento da parte delle imprese dei tre Paesi membri. Di USMCA abbiamo scritto ad esempio qui e qui.

Se la scelta di includere Messico e Canada nel nucleo ‘originario’ della prima regione è relativamente facilmente difendibile, selezionare un terzo Paese è più controverso, perché nessun altro Paese tra i più rilevanti (quantitativamente) 15 partners commerciali degli Usa ha avuto con questi rapporti commerciali e accordi preferenziali comparabili a quelli intrattenuti per decenni con Messico e Canada. Abbiamo quindi deciso di includere il Vietnam tra i Paesi oggetto di forte attenzione da parte degli Usa. Abbiamo formulato questa ipotesi a partire dalla pubblicistica periodica (non scientifica) la quale riporta da tempo un’aneddotica che lascia pensare che gli Usa vedano il paese come un’alternativa, o quanto meno un complemento che progressivamente evolve in alternativa, alle importazioni dalla Cina. L’aneddotica è importante nelle prime fasi di una ricerca del tipo di quella che cerchiamo di avviare qui. È importante che nel settembre scorso il Presidente Biden si sia recato in visita al Segretario Generale del Partito Comunista del Vietnam Nguyen Phu Trong annunciando una Partnership strategia e completa tra Usa e Vietnam (U.S.-Vietnam Comprehensive Strategic Partnership); è importante sapere che da anni ormai un numero crescente di imprese che ‘lasciano’ la Cina, o che intendono soltanto ridurre il grado di dipendenza dalla Cina, scelgono il Vietnam come localizzazione alternativa, secondo i dettami della cosiddetta strategia ‘China plus one;’ ed è importante tener conto del fatto che il Vietnam sta, forse anche per queste ragioni, emergendo come paese cui tutto il sud est asiatico presta grande attenzione come potenziale ‘stella nascente’ nella regione.

Arrivando al cuore del problema: abbiamo ipotizzato che Canada, Messico e Vietnam siano i candidati ‘preferenziali’ a far parte della prima regione che ruota e ruoterà attorno agli Stati uniti; ma quale evidenza empirica abbiamo a sostegno di questa ipotesi? Figura 1 è di conforto alla nostra scelta del Vietnam come Paese candidato a far pare della prima regione a guida Usa: a fronte della stagnazione dei valori delle importazioni dalla Cina, e con l’eccezione della caduta del 2023, le importazioni Usa dal Vietnam sono venute crescendo negli ultimi otto anni in maniera straordinaria anche rispetto a quelle dal Canada e dal Messico, Paesi con cui, si è visto, gli Usa facevano parte fin dal 1994, dell’Associazione NAFTA (cfr. i riferimenti sopra).

Figura 2 riporta l’andamento della quota di importazioni Usa dalla Cina da un lato e dall’aggregato dei tre paesi che noi ipotizziamo siano candidati alla costituzione della ‘prima regione’: a fronte di una caduta della quota di importazioni Usa dalla Cina dal 21% al 14%, la quota dell’aggregato Canada, Messico, Vietnam è passata dal 28% al 33%. Noi crediamo che quelli documentati in Figura 2 siano cambiamenti epocali.

L’andamento del valore delle esportazioni di merci dagli Usa per Paese di destinazione (Figura 3) è, come ci si poteva attendere, assai meno eclatante dell’andamento delle importazioni da quei paesi. In particolare, l’andamento delle esportazioni usa verso il Vietnam non assume caratteri estremi, e anzi si nota una sostanziale stagnazione delle stesse negli ultimi due anni. Ma è agevole sostenere che le dimensioni dell’economia vietnamita, e il livello del reddito pro capite dei suoi residenti, difficilmente possono fare del Paese un obiettivo strategico speciale degli esportatori Usa, quanto meno in termini di quantità esportate[3].

  1. Che cosa abbiamo imparato

Con questo articolo abbiamo voluto avviare una riflessione finalizzata alla verifica empirica del fenomeno della regionalizzazione, o globalizzazione politica, che sta emergendo dopo la fase della globalizzazione di mercato. Il problema che abbiamo di fronte è che il concetto di ‘regione’ in un mondo globalizzato non è affatto ovvio a causa della molteplicità dei parametri necessari a identificare una regione. Tali parametri dovrebbero derivare dalle scelte di politica industriale e di politica commerciale dei Governi nazionali, oltre che da considerazioni di costo relativo come avviene nel ‘vecchio’ modello Ricardiano che ha caratterizzato la globalizzazione di mercato.

In assenza di una guida teorica, abbiamo cominciato a verificare se esista evidenza empirica, per quanto labile, che possa aiutare ad identificare la ‘prima regione’ di interesse per gli Stati uniti. A parte dai dati di scambi di merci deli Stati uniti abbiamo scelto, in prima approssimazione, i paesi che compongono tale regione. L’andamento delle importazioni ed esportazioni Usa di merci ci mostra alcuni aspetti chiave a nostro modo di vedere rilevanti:

  1. Le importazioni Usa dalla Cina non sono aumentate anno-su-anno tanto quanto sono aumentate le importazioni Usa dagli altri paesi di interesse della nostra analisi;
  2. Progressivamente, la quota di importazioni Usa dalla Cina sul totale delle importazioni Usa è diminuita a favore delle ‘regione’ considerata nella nostra analisi e, molto probabilmente, di altri paesi che potrebbero ‘aggiungersi’ alla regione secondo le riflessioni esposte in apertura dell’articolo;
  3. Noi crediamo che l’ipotesi che un ‘nocciolo duro’ che include Canada, Messico e Vietnam sia effettivamente in gestazione; tuttavia, l’aggiunta di altri paesi alla regione è un fattore va necessariamente considerare dato il ruolo degli Usa di ‘consumatore di ultima istanza’ che implica una domanda di merci che, qualora non origini in Cina, dovrebbe provenire ad una ‘regione’ altrettanto dotata di imprese, lavoro, infrastrutture e altri fattori che la rendano idonea a servire il mercato Usa;
  4. Anche se non abbiamo analizzato l’andamento degli scambi per tipologia di merce, ci aspettiamo che la strategia Usa ‘Small yard, high fence’ abbia un effetto sulla regionalizzazione degli scambi diverso da settore a settore (ad esempio, si pensi alla produzione di semiconduttori).

[1] Un ordinamento simile ma può essere generato sulla base di un indicatore generato dal rapporto tra il valore delle importazioni Usa (esportazioni Usa) e il valore della produzione del paese partner nello stesso periodo, il che consente di tener conto della dimensione del paese partner. In questa sede non discutiamo dei loro meriti relativi.

[2] Siamo forzati a seguire questa strada per almeno due ragioni: anzitutto perché, come già detto, manca il riferimento teorico alla scelta dei criteri per la definizione di ‘regione’ in un contesto globale, e di conseguenza manca anche una guida alla selezione delle variabili osservabili per l’applicazione empirica; in secondo luogo, non possediamo la potenza computazionale necessaria a lavorare contemporaneamente su (anche soltanto) 15 Paesi.

[3] In questo articolo non possiamo ancora lavorare su dati settoriali, i quali potrebbero mostrare che, nonostante la crescita ‘normale’ delle esportazioni totali Usa verso il Vietnam, potrebbero esistere settori merceologici di particolare interesse per l’esportatore Usa.

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