Reshoring? Fine della globalizzazione? Tra illusioni di un ritorno al passato e il sogno di un futuro più produttivo

20 06 14

Daniele Langiu, daniele.langiu@gmail.com

Fabio Sdogati, sdogati@mip.polimi.it

Introduzione

Il primo giugno scorso abbiamo pubblicato un articolo il cui obiettivo è stato contribuire ad identificare, e provare a valutare il merito delle, ragioni per cui un’impresa dovrebbe voler ribaltare la decisione precedentemente presa di internazionalizzare, in varie forme, i propri processi produttivi. Per capire le implicazioni del processo di reshoring, che abbiamo tradotto con rimpatrio, abbiamo brevemente descritto le forme di internazionalizzazione della produzione e, poi, analizzato le condizioni sotto le quali, in condizioni di mercato, cioè in assenza di sussidi, un’impresa che abbia internazionalizzato la propria produzione dovrebbe voler invertire la direzione.

L’impresa è stata l’oggetto della nostra analisi. La conclusione del nostro articolo è stata che, in condizioni di mercato, le imprese che hanno scelto di internazionalizzare la produzione non hanno un incentivo a rimpatriare le attività produttive precedentemente internazionalizzate, a meno che l’impresa stessa oppure un suo fornitore nel paese di origine non abbiano realizzato aumenti di produttività tali da diventare più competitivi dell’impresa presso cui l’attività è stata esternalizzata. Inoltre, le nostre riflessioni ci hanno portato a considerare che il rafforzamento del commercio regionale, che è bene chiarire non equivale a rimpatrio dell’attività, rispetto al commercio globale può ri-progettare le catene di approvvigionamento globali solo se le imprese coinvolte nella nelle filiere troveranno un modo più efficiente di specializzare le proprie attività produttive all’interno della regione. Di conseguenza, tanto regionalizzazione degli scambi che rimpatrio ci sembrano processi che risulterebbero inefficienti se non sono presenti le condizioni che permettono di sostenere costi di produzione al massimo uguali a quelli sostenuti se l’attività fosse svolta all’estero.

L’obiettivo di questo articolo è ora lasciare l’unità di analisi impresa per provare a rispondere principalmente a queste domande: perché il decisore di politica economica vorrebbe intervenire per rendere il processo di rimpatrio conveniente? E in che modo potrebbe farlo? Perché voler creare le condizioni per riportare nel paese un’attività che le imprese hanno scelto di internazionalizzare perché non hanno trovato sul mercato locale le condizioni che le permettessero di essere competitiva sul mercato internazionale?

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Competitività delle imprese tra politiche protezionistiche, Covid-19, catene globali di produzione

Daniele Langiu, daniele.langiu@gmail.com

Fabio Sdogati, sdogati@mip.polimi.it

“Foreman says these jobs are going boys

and they ain’t coming back to your hometown”

Bruce Springsteen, My Hometown, November 21, 1985

Introduzione

Da alcuni anni si è venuto diffondendo l’uso del termine reshoring. Una scorsa veloce alla ricerca del significato del termine mostra che esso è il contrario di offshoring ed è da tradurre come rimpatrio. In questo lavoro, scritto in italiano, useremo il termine italiano. Il termine rimpatrio sembra essere riferito ad un evento precedente che, in italiano, è stato chiamato delocalizzazione. Ora, delocalizzazione a sua volta è termine vago: che cosa, esattamente, è stato delocalizzato? Si parla di imprese, spostate da qui a là, o si parla di segmenti di processi produttivi allocati ad imprese localizzate all’estero, acquisite in tutto o in parte? O si tratta di imprese locali che hanno trovato all’estero condizioni di fornitura più vantaggiose, e quindi hanno dato origine, o si sono aggregate a, catene globali di produzione, senza coinvolgimento proprietario? In altre parole, le forme della presunta delocalizzazione sono importanti per capire le forme che dovrebbe assumere il rimpatrio: perché altro è rimpatriare un’intera impresa, altro sostituire un fornitore estero con uno locale, in patria.

Di reshoring si parla moltissimo con riferimento alle politiche protezionistiche dell’amministrazione Trump. E si sente dire, specialmente dall’uomo della strada, che si tratterebbe di una politica intelligente perché ‘riporta a casa le imprese che hanno delocalizzato, con effetti benefici sulla produzione, sull’occupazione, e sul gettito fiscale’. Un tema, quindi, di politica economica.

Con questo lavoro vogliamo contribuire a rispondere ad un quesito che ci sembra prioritario trattare prima di qualunque discussione di politica economica: per quali ragioni un’impresa dovrebbe voler ribaltare la decisione precedentemente presa di coinvolgersi, in varie forme, in processi produttivi non limitati al territorio nazionale? Nel primo paragrafo mostriamo che il termine rimpatrio ha connotazioni e implicazioni diverse a seconda di quale sia stata la forma dell’espatrio; nel secondo abbozziamo l’analisi delle condizioni sotto le quali, in condizioni di mercato, cioè in assenza di sussidi, un’impresa che abbia internazionalizzato la propria produzione dovrebbe voler invertire la direzione e sostituire servizi e prodotti di origine estera con servizi e prodotti di origine nazionale. Ci occuperemo di rimpatrio delle attività produttive in quanto politica in un prossimo articolo.

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Le banche tra finanziarizzazione dell’economia mondiale e frammentazione internazionale dei processi produttivi

di Daniele Langiu, Francesco Morello e Fabio Sdogati

Molti si sono chiesti, negli ultimi anni, perché gli economisti non abbiano previsto la crisi attuale. Tra le molte risposte possibili, e probabilmente corrette, quella che preferiamo è che la professione non si occupa più, in generale, dell’economia nel suo complesso, della sociologia dei rapporti economici, delle implicazioni economiche di cambiamenti nella normativa: di quel metodo, cioè, che  pure era dei classici, quando ciò che oggi chiamiamo “economia” era chiamato “filosofia morale”.

In questo lavoro cerchiamo, nei nostri limiti, di recuperare quel metodo per studiare il modificarsi nel tempo del ruolo delle banche in un contesto di finanziarizzazione dell’economia mondiale e  frammentazione internazionale della produzione.

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