Imprenditore e innovazione

Ho sostenuto una tesi piuttosto fuori dal coro: invece di prendermela con il governo, con i giovani e la droga, la sacra corona unita, il tempo e il sindacato, la Merkel, la sfortuna e non saprei più chi (ah no, scusate, l’Euro, ovviamente!), ho avanzato l’ipotesi che lo stato pietoso in cui versa la nostra economia sia dovuto anche al declino delle capacità imprenditoriali dei concittadini.

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Donna è meglio quando si fa impresa

Per la seconda volta in poche settimane sono costretto a ricredermi: le banche non servono solo a distruggere l’economia, come nel 2007-2008 è emerso sanno fare, o soffocarla per assenza di credito, come fanno da sette anni a questa parte. Esse (alcune) sanno anche porsi quesiti importanti. E condividerli. Buono. Molto buono. Altro che balle sulle ‘banche del territorio’. Banche che studiano per vedere come mettere a frutto la liquidità che la BCE regala loro da anni.

Proprio in questo mese di ottobre Intesa Sanpaolo ha pubblicato i risultati di uno studio condotto da Ilaria Sangalli e Stefania Trenti dal titolo Imprese femminili: strategie competitive e differenziali di performance nel manifatturiero italiano. Quali evidenze da un’analisi di matching. (Rimane questo incredibile provincialismo del dover infilare qua e là una parola in inglese, ma non ci posso fare nulla. Se non stroncare il lavoro, ma purtroppo lo farò solo se lo riterrò da stroncare. Or, perhaps, I simply should ignore it). Continue reading “Donna è meglio quando si fa impresa”

Italia

Introduzione

Tra l’ottobre 2014 e il febbraio 2015 pubblicai su www.scenarieconomici.com una serie di dieci brevi articoli a ciascuno dei quali diedi la connotazione di ‘Fatto’. Ogni ‘Fatto’ aveva l’obiettivo di contrastare con evidenza empirica di qualità un luogo comune, una ingenuità, una cattiva correlazione tra eventi e tra grandezze, una deduzione errata o quantomeno spuria. Non voglio dire che ogni ‘Fatto’ avesse la sua battaglia personale da combattere, ma il ragionamento che sottendeva la scelta dei ‘Fatti’, il ragionamento che ne giustificava l’esistenza e che al tempo stesso possedeva una sua coerenza logica ed economica rimaneva in sottofondo, quasi che il lettore che conoscesse l’autore potesse riconoscerlo e gli altri, invece, dovessero accontentarsi di quel singolo ‘Fatto’. Il che, evidentemente, non è corretto.

Questo scritto altro non è che i dieci ‘Fatti’ ripresentati in maniera tale da costituire un ragionamento compiuto. Incompleto, come tutti i ragionamenti, ma compiuto. Ogni paragrafo è dedicato ad un ‘Fatto’, così che il lettore malizioso possa sbizzarrirsi a cercare contraddizioni tra ciò che scrivevo nell’autunno-inverno scorso e ciò che scrivo ora. La differenza è che i grafici sono aggiornati ma, ahimè, aveva ragione un giovane ricercatore quando mi disse: “Ma prof., quanto vuole sia cambiata la situazione in un anno scarso’? Poco o nulla. Ma i grafici sono aggiornati.

Infine, il metodo. Comparare un paese ad un altro è impresa ardua. Quali sono gli indicatori da usare, che cosa è importante e cosa no? Quanto pesa la storia, quanto la cultura, quanto le norme? E soprattutto, da dove si parte?

Aver scelto di confutare i luoghi comuni, le credenze, le opinioni non sostenute da evidenze empiriche ci rende la vita facile, poiché cominceremo necessariamente dal luogo comune per eccellenza: quello che dice che dalla crisi si esce con le ‘riforme strutturali’. Sono decenni che sento parlare di ‘riforme strutturali’ senza mai capire che cosa siamo, quanto costino e chi sopporterà quei costi, che benefici produrranno, a favore di chi, in quanto tempo se ne vedranno i frutti. Ma sembra che io non abbia davvero capito nulla se Presidenti di Commissioni Europee, Direttori (e Direttrici) del Fondo Monetario Internazionale, Capi di Stato e di Governo (di destra, centro e sinistra), persone tutte di gran levatura, insistono che sono proprio le riforme strutturali quelle che servono per uscire dalla crisi.

Ora, nel nostro paese abbiamo grande esperienza di riforme strutturali: la riforma del fisco, la riforma della giustizia, la riforma della scuola…  sperando, ovviamente, che io ci abbia azzeccato e che questi che ho appena citato siano esempi di riforme strutturali. Coscienti tutti, ovviamente, che dobbiamo cominciare dalla riforma strutturale per eccellenza: quella del mercato del lavoro. E da questa cominciamo. Continue reading “Italia”

Politiche per l’imprenditorialità

Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia 2001, ha definito gli anni novanta ‘ruggenti’, termine con il quale indicava un periodo in cui la liberalizzazione dei mercati procedeva a ritmo forsennato e di pari passo, ovviamente, procedeva il ritirarsi dello Sato in quanto supremo ente regolatore delle attività produttive e degli scambi. Mentre l’enfasi del libro è sul settore finanziario, le ‘liberalizzazioni’ investirono, come si ricorderà, tutti i settori produttivi (I ruggenti anni novanta, Einaudi 2004). Il risultato, per chi abbia occhi per vedere, è visibile a tutti: la crisi prodotta da quelle deregolamentazioni e svelatasi nel 2007 ha prodotto nel nostro paese circa 3 milioni e mezzo di disoccupati, la perdita del 25% della capacità produttiva industriale, una caduta del reddito reale pro capite di poco meno del 10%, un aumento enorme del numero di concittadini che vivono sotto il livello di povertà, emigrazione giovanile che non conoscevamo da decenni.

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Da che cosa dipende il successo imprenditoriale: formazione o predisposizione?

Quesito importante, quello nel titolo, per cui sarà bene partire con il piede giusto dicendo che nulla al mondo è l’effetto di una sola causa, così che la contrapposizione presente nel titolo è fittizia. Come ogni buon titolista sa, la contrapposizione serve ad attrarre attenzione e a delimitare un terreno di discussione, ma non rappresenta un quesito analiticamente trattabile.

E allora riformuliamo il quesito: a parità di predisposizione, la formazione ha un impatto positivo, o no? E a parità di formazione, esiste un impatto positivo della predisposizione?

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