Piano piano se ne stanno accorgendo …

La crescita globale rimane “troppo lenta e fragile” e “i rischi che essa si interrompa stanno aumentando”. Questo il commento del direttore del FMI, Christine Lagarde, martedì scorso in un intervento alla banca centrale tedesca. Per uscire da questa situazione è necessario che la politica monetaria non rimanga più sola ma che venga accompagnata da stimoli della domanda e incentivi alla ricerca. Dopo sette anni, piano piano se ne stanno accorgendo …

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Il ruolo del circolante, quando l’economia ristagna, i governi ne sono felici, e la banca centrale è ‘the next wonderful thing since sliced bread’

Premessa                                                                                                

Da qualche settimana scrivo solo pezzi brevi, dal contenuto circoscritto, relativamente poveri di argomentazioni, ‘veloci’ come talvolta chiedono le circostanze. Oggi vorrei tornare ad uno stile che mi si adatta meglio, credo, didascalico (non ho mai capito dove sia l’insulto), polemico ovviamente, ma che produca un lavoro ‘articolato e complesso,’ come si diceva quando a scrivere erano gli intellettuali. La ragione di questa decisione è semplice (semplice se si pesano le parole che sto per dire):

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Gli anni a venire

 Mala tempora currunt,

sed peiora parantur

Vorrei provare a fare alcune riflessioni su cosa dovremmo aspettarci dal prossimo paio d’anni (o forse più). E vorrei farlo ricordando il passato, perché la perdita della memoria è una tragedia immensa per i processi di apprendimento. Con la memoria si perde il senso dell’equilibrio, scompare l’origine degli assi cartesiani, non è più possibile comparare, distinguere ciò che è da ciò che non è, immaginare che forma potrebbe prendere il futuro. E allora sarà bene fare un esercizio che ci aiuti a capire ciò che avviene, e che potrebbe avvenire, alla luce di ciò che è avvenuto nel passato non troppo lontano. Ricordando sempre che la conoscenza del passato non basta certo prevedere il futuro, ma anche che la sua ignoranza è perdita di memoria e, dunque, condanna all’ignoranza. Cominciamo perciò dal passato. Continue reading “Gli anni a venire”

La recessione è finita ma il 2016 non sarà l’anno della ripresa

Fine d’anno, tempo di bilanci: da che cosa è stato caratterizzato il 2015? Ma, anche, tempo di previsioni: come sarà il 2016? Sul piano economico, ovviamente.

Credo che per poter arrivare ad un bilancio interessante e ad una previsione rilevante occorra rifuggire da tabelle e percentuali (ciò detto, io ne propongo un paio per gli affezionati del dato). Per capire dove siamo parto dalla considerazione che dal 2008 ad oggi non abbiamo visto in nessun paese al mondo, e men che meno in Europa, i tassi di crescita cui eravamo abituati pre-2007. Di più: da un anno almeno la crescita delle cosiddette economie emergenti è in forte rallentamento, e il motore del giocattolo che girava perché Cina e Brasile crescevano sembra in gravi difficoltà. Dal che, previsioni non proprio ottimistiche sulla crescita 2016 a livello mondiale: meno pessimistiche sui paesi ad alto reddito pro capite, più pessimistiche sulle economie emergenti e i paesi in via di sviluppo (espressione quest’ultima che era venuta scomparendo durante gli anni del grande ottimismo, ma che da qualche tempo abbiamo ricominciato a leggere). Continue reading “La recessione è finita ma il 2016 non sarà l’anno della ripresa”

Cina: crisi finanziaria o fine di un ciclo di crescita imponente? (ed effetti sul resto del mondo)

Mentre la capitalizzazione del mercato azionario cinese cresceva tra il 2004 e il 2005 a ritmi mai visti, molti tra noi discutevano di quantitative easing (gennaio-marzo), tassi di interesse negativi sui titoli del debito pubblico (marzo-maggio), andamento dell’occupazione negli Usa (tutti i mesi). Ora, il problema all’ordine del giorno è quello della ‘crisi cinese’. Prima i fatti, poi l’interpretazione. Continue reading “Cina: crisi finanziaria o fine di un ciclo di crescita imponente? (ed effetti sul resto del mondo)”

Ma che crisi è questa qua?

(In #America fa capolino la piena occupazione)

Il titolo di oggi è esattamente il testo che il direttore di Economyup Giovanni Iozzia ha twittato sabato mattina. Vale a dire, poche ore dopo che il Governo degli Stati uniti ha rilasciato l’informazione secondo cui nel mese di febbraio l’economia Usa ha creato 295 mila posti di lavoro, con conseguente caduta del tasso di disoccupazione al 5,5%. Cinque-virgola-cinque-per-cento, meno della metà di quella che abbiamo in Unione Economica e Monetaria e in UE. Giustificatissimo quindi il quesito, perché non si può non rimanere sbalorditi da queste differenze: ma che crisi è questa qua? Abbozzerò una risposta, la stessa che da otto (8) anni offro a coloro che abbiano occhi per vedere (il riferimento al poeta è: Bruce Springsteen. We Take Care of Our Own 2013).

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“La Grecia deve uscire dall’euro, svalutare e poi rientrare”. E perché? E per chi?

(Tutti bravi a sapere cosa è meglio per gli altri)

Il titolo che ho scelto approssima una delle ricette preferite di coloro che, talvolta in buona fede e molto spesso no, sanno che cosa si debba fare in una situazione complessa quanto mai come quella del salvataggio dell’Europa che, con enormi sacrifici, la Grecia sta cercando di portare in porto (si, ha letto bene, la Grecia sta cercando di salvare l’Europa: lo sostengo, sui media e per iscritto, dal 2011).

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Ma tu faresti credito ad uno che ti promette che risparmierà? E a uno che chiede di aiutarlo ad arricchirsi?

Come ho previsto in un mio scritto di alcuni giorni fa, con la vittoria di Syriza e l’ingresso sullo scenario del primo governo pro-crescita dell’Unione Economica e Monetaria (ed UE) si è aperto finalmente il dibattito sui destini di questa nostra Europa. Dibattito che fino al 26 gennaio scorso non poteva esserci, essendo tutti e 19 i governi dell’UEM schierati a favore dell’austerità; ora i duri e puri del pensiero economico e politico sofisticato, quelli del “i debiti si pagano”, si sono ridotti a 18, la dittatura del pensiero unico è spezzata, quel piccolo 1 ci consente di intraprendere un ragionamento. E forse anche un percorso. Vediamo perché.

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