Il ritorno della Cina?

Daniele Langiu, daniele.langiu@gmail.com

Fabio Sdogati, fabio.sdogati@gsom.polimi.it

23 02 18

Introduzione

Ci fu facile, in un articolo del 28 marzo 2020, cioè a soli due mesi dalla rilevazione dell’inizio della pandemia, prevedere che la crisi innescata dalla pandemia sarebbe stata lunga, complessa da gestire, costosa in termini di occupazione e di crescita. Oggi, a quasi tre anni, possiamo dire che avevamo colto le grandi linee della evoluzione congiunta e asincrona della pandemia e della crisi economica.

Uno dei fenomeni che avevamo previsto con chiarezza è quello della asincronia con cui tanto la crisi sanitaria che quella economica si sarebbero sviluppate in paesi diversi. Nella fase inizio 2020-fine 2022 l’asimmetria tra Cina e paesi ad alto reddito pro capite (l’occidente, per brevità) prese la forma della contrapposizione netta tra le politiche sanitarie: covid zero in Cina, cioè chiusura di attività produttive, centri commerciali, condomini residenziali per contenere la diffusione del contagio; e in occidente, con poche eccezioni nazionali, chiusure solo parziali e vaccinazioni di massa. L’8 dicembre 2022 il governo cinese rimuove questa asimmetria archiviando la politica ‘Covid zero’ e adottando in sua sostituzione quella che a noi piace chiamare ‘Covid per tutti.’

In occidente questo cambiamento di indirizzo nella politica sanitaria cinese è stato interpretato come riapertura dell’economia cinese. In breve, si è immaginato che certo gli ospedali sarebbero stati in grande difficoltà nel fornire servizi sanitari adeguati nelle nuove condizioni di forte eccesso di domanda; ma si è anche immaginato che la riapertura delle attività produttive e distributive, facilitata dalla ‘liberalizzazione’ degli spostamenti, si sarebbe tradotta in una ripresa dell’attività produttiva e distributiva importante, che avrebbe riportato l’economia cinese nei pressi della posizione che ricopriva nel mercato mondiale alla vigilia della pandemia.

In questo breve articolo noi siamo interessati a questo quesito: quali saranno gli effetti economici sull’economia globale dell’adozione della nuova politica, annunciata l’8 dicembre 2022? La letteratura sul tema consiste di ricerche e previsioni di case finanziarie di centri di ricerca di stampo più accademico, oltre che di interventi di osservatori e opinionisti indipendenti. Il nostro obiettivo è passare in rassegna questa letteratura per fornire un quadro della varietà di analisi e opinioni in questa fase. Ciò che emerge dalla nostra rassegna è da un lato la sostanziale uniformità delle previsioni per quanto riguarda i tassi di crescita dell’economia cinese nel 2023 e 2024; dall’altro, emergono differenze marcate circa i tempi e le dimensioni dell’impatto che la stessa potrà avere sull’economia del resto del mondo. Ovviamente, gli effetti economici della ripresa cinese sul resto del mondo non sono indipendenti dalla rapidità e dalle caratteristiche che assumerà la ripresa dell’economia cinese. La discussione va dunque articolata in tre parti:

  1. Il tasso di crescita dell’economia cinese nel 2023, cioè la velocità a cui l’attività produttiva riprenderà in presenza di una situazione sanitaria in ogni caso poco favorevole;
  2. Il grado in cui la ripresa dell’attività produttiva in Cina si riverserà sulle importazioni dal resto del mondo; e
  3. Il grado in cui la domanda dei paesi ad alto reddito pro capite in particolare alimenterà la ripresa cinese mediante domanda estera per le sue esportazioni.

Il lavoro si articola in tre paragrafi. Nel primo riportiamo le stime e le previsioni circa la consistenza e la ripresa dell’economia interna; nel secondo una sintesi delle misure di politica economica già decise; nel terzo riportiamo le stime e le analisi circa il potenziale di crescita che l’economia cinese potrebbe aggiungere alla crescita dell’economia globale e, parallelamente, riportiamo alcune speculazioni circa il contributo che l’economia mondiale potrebbe a sua volta offrire alla ripresa cinese, in questo contesto di tassi di crescita bassi e timori diffusi di una recessione in arrivo.

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Inflazione: temporanea o permanente? O, forse meglio: da offerta o da domanda?

Daniele Langiu,  daniele.langiu@gmail.com

Fabio Sdogati, sdogati@mip.polimi.it

22 02 09

Il titolo di questo articolo riflette i termini del dibattito che ha tenuto banco tra gli economisti macro accademici, commentatori e giornalisti per tutto il 2021 e in questo inizio del 2022. Il punto più alto di questo dibattito è il secondo confronto sulle origini dell’inflazione Usa tra Paul Krugman e Lawrence Summers, tenutosi il 21 gennaio scorso. Il confronto va seguito perché, oltre ad essere ovviamente interessante, ha dato forte rilevanza alla modellazione teorica delle cause l’inflazione come condizione necessaria per la formulazione di politiche economiche adeguate. La registrazione dell’incontro è a questo link

La genesi di tale dibattito, incluso il confronto tra Krugman e Summers  è, ovviamente, la feroce, per quanto tutto sommato breve, recessione[1] indotta dallo shock sanitario che a partire dalla fine del 2019-inizio 2020 ha colpito le economie di tutto il mondo. La caratteristica principale dello shock sanitario fu l’aver colpito l’economia più o meno simultaneamente dal lato dell’offerta e da quello della domanda: dal lato dell’offerta perché, pur non avendo distrutto capacità produttiva come avviene in caso di guerra, ha reso inutilizzabili impianti produttivi a causa della necessità di isolamento dei lavoratori; e dal lato della domanda, perché quei lavoratori si sono trovati per periodi prolungati con redditi ridotti e, inoltre, aumentarono la propria propensione a risparmiare in vista di una durata incerta del periodo di inattività.[2]

La ragione per cui qualunque ragionamento sugli effetti della pandemia, inclusi quelli sull’inflazione che ne è derivata, deve partire da questa considerazione, cioè dal fatto che lo shock sanitario ha colpito, e continua a colpire, la capacità produttiva, e ha modificato il profilo temporale e la composizione merceologica della spesa per consumi, sta nel fatto che i due impatti negativi si sono auto-rafforzati, intrecciati, alimentati a vicenda in maniera asincrona, ripercuotendosi l’uno sull’altro nel tempo e nello spazio della globalizzazione delle catene di produzione e della logistica.[3]

L’enfasi che stiamo mettendo sul concatenarsi delle difficoltà dell’offerta e della domanda aiuta a capire che la ripresa non può che essere difficile, ostacolata ora da un lato e ora dall’altro, con caratteri caotici che non possono essere sottovalutati: si pensi, a scopo illustrativo, alla successione assenteismo in aumento nelle imprese a causa degli isolamenti-difficoltà a produrre-dipendenti in cassa integrazione-imprese a valle in carenza di prodotti intermedi e conseguente loro difficoltà a rifornire clienti-imprese e clienti finali. In questo modello, il controllo dei contagi è la variabile cruciale per la stabilizzazione della ripresa, ma questo non sta avvenendo. Ne consegue che le difficoltà delle imprese permangono, quelle dei piccoli distributori crescono, quelle delle imprese della logistica si moltiplicano. 

Ma le difficoltà dal lato delle quantità possono generare mostri sul fronte dei prezzi.  Sinteticamente, per vedere come le difficoltà produttive e distributive si possono tradurre in spinte inflazionistiche, sono concepibili due scenari, uno in cui le imprese posseggono potere di mercato, ed uno in cui le condizioni della concorrenza prevalgono in tutti i mercati. Nel primo caso, le imprese che si trovano di fronte ad aumenti dei costi degli input possono aumentare i prezzi dei propri prodotti senza eccessive preoccupazioni per gli effetti sul fatturato, anzi: se l’elasticità della domanda di quei prodotti è inferiore ad uno, il fatturato aumenterà all’aumentare del prezzo. Se, invece, l’impresa opera in un mercato in cui l’elasticità della domanda è superiore ad uno, e non esistono barriere all’ingresso di nuove imprese su quel mercato o impedimenti normativi, allora aumenti dei prezzi verranno adottati con assai maggior cautela ma, alla fine, verranno comunque adottati in un processo in cui il comportamento rialzista di un’impresa apre la strada a comportamenti rialzisti di tutte le altre. In breve, il potere di mercato delle imprese determina la velocità della crescita dei prezzi, ma il processo inflazionistico c’è: e in assenza di spinte salariali, che in Unione Economica e Monetaria non si stanno ancora realizzando, l’aumento dei prezzi va tutto a favore dei profitti aziendali. 

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Pandemie, epidemie, tramezzini e ricerca scientifica

2022 01 12

Daniele Langiu, daniele.langiu@gmail.com

Fabio Sdogati, sdogati@mip.polimi.it

La diffusione violenta del Sars-CoV-2 ha prodotto una serie di problemi economici la cui portata, estensione e combinazione sono, dopo due anni dall’inizio della pandemia, ancora in gran parte sul tappeto. Il più grave tra questi problemi economici è sicuramente la perdita di produzione e occupazione attraverso cui sono passati tutti i paesi ad alto reddito pro capite e molti di quelli a reddito pro capite medio e basso, con l’eccezione di poche economie asiatiche. In un articolo del 28 marzo 2020 argomentavamo che all’impatto immediato della recessione, uno shock dal lato dell’offerta, sarebbe seguito uno shock da domanda dovuto alla caduta dei redditi dei fattori della produzione conseguente allo shock sanitario e alla necessaria riduzione del livello dell’attività produttiva, riduzione che si sarebbe trasmessa da economia a economia proprio come avrebbe continuato a trasmettersi il contagio. Ricordiamo questo piccolo contributo per sottolineare che già a marzo 2020 gli effetti dello shock sanitario apparivano gravi e persistenti, e che dunque le autorità di politica economica dovevano prepararsi ad interventi tanto di politica fiscale che di politica monetaria mirati al sostegno della domanda e delle attività produttive.

Oggi, a due anni dall’inizio della crisi, possiamo notare due fatti importanti:

  1. Il primo è che, con la drammatica eccezione dei paesi a reddito pro capite basso e bassissimo, gran parte delle economie nazionali si sta riprendendo più rapidamente del previsto. Noi crediamo che ciò sia dovuto ai programmi di politica fiscale e monetaria adottati e/o appena avviati a livello nazionale e sovranazionale (vedi NextGeneration EU);
  2. Il secondo è che di fronte all’accertata difficoltà a continuare a produrre nel modo tradizionale, negli uffici e nelle fabbriche, si è stabilito e diffuso un modo di produrre che è stato designato con molteplici espressioni più o meno in inglese, ma che noi chiamiamo Lavoro Remoto.

Qui ci occupiamo di questo secondo tema, e ci chiediamo se esso costituisca l’inizio di una tendenza destinata a modificare permanentemente l’organizzazione del lavoro. In questo breve scritto non è possibile discutere di tutte le implicazioni dell’adozione di questo modo di produrre: ad esempio, non si discute del contributo che esso può dare alla riduzione della velocità di diffusione del virus, né degli effetti della didattica a distanza sulla formazione dei giovani. Qui ci limitiamo piuttosto al seguente quesito:

chiarito che non è vero che siamo in una situazione ‘post-pandemica’, assumendo che la situazione sanitaria si vada avvicinando asintoticamente alla normalità (qualunque cosa essa sia) e/o all’epidemia, che probabilità esiste che il Lavoro Remoto resti pratica diffusa o, addirittura, crescentemente diffusa anche in futuro?

Il nostro filo logico è il seguente:

  1. Il lavoro remoto ha costituito, e costituisce, un fenomeno quantitativamente rilevante? In altri termini, vale la pena parlarne?
  2. Se lo è, cioè se le imprese vi hanno fatto ricorso come strumento di importanza strategica per il contenimento della compressione della produzione indotta dalla pandemia, allora sarà bene tenere presente che ciò avverrà ancora, quantomeno in situazioni comparabili a quelle che stiamo vivendo;
  3. Ammesso che il lavoro remoto sia uno strumento rilevante per le imprese, può diventare un fattore determinante per i lavoratori per scegliere la loro prossima occupazione?
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Prospettive della ripresa dell’economia italiana a quasi due anni da un evento sconvolgente

Daniele Langiu e Fabio Sdogati

daniele.langiu@gmail.com, fabio.sdogati@mip.polimi.it

21 12 31

Premessa

Ci sorprende la sorpresa di cui alcuni fanno mostra di fronte alle caratteristiche della ripresa economica che, pur con intensità e problematiche diverse, molte economie nazionali stanno sperimentando. Siamo sorpresi perché sembra quasi che il 2020 sia stato un anno ‘normale’, caratterizzato da una recessione ‘normale’, dalla quale ci si attende di rientrare in modo ‘normale’. E invece non è così: il 2020 è stato un anno straordinario, gli effetti della pandemia su domanda e offerta di beni di consumo e di investimento sono stati senza precedenti, e le difficoltà della logistica internazionale sono enormi a causa di ciò; le reazioni delle autorità di politica monetaria e fiscale sono state spesso, particolarmente nel caso dell’Ue, ortogonali a quelle che caratterizzarono il periodo della Grande Recessione 2007-2011; e ci sorprende la sorpresa davanti ai movimenti dei prezzi, un fatto che non vogliamo sminuire ma che a noi sembra fisiologico quando la struttura produttiva e distributiva mondiale subisce uno stravolgimento come quello che abbiamo vissuto nel 2020. Si tratta dunque anzitutto di valutare e ‘assorbire’ la dimensione dello sconvolgimento portato dalla pandemia, e quindi di valutare se e quanto le caratteristiche della ripresa in atto siano ‘coerenti’ con quello sconvolgimento.

Introduzione

Obiettivo di questo articolo è verificare quale sia lo stato della ripresa economica italiana e offrire uno sguardo sugli scenari evolutivi nei prossimi anni. Un compito oneroso per un articolo breve, il che richiede che gli indicatori utilizzati nell’analisi siano accuratamente specificati, pochi, e i relativi dati facilmente reperibili.

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Ancora su inflazione e offerta di lavoro (2/n)

21 11 24

Daniele Langiu, daniele.langiu@gmail.com

Fabio Sdogati, sdogati@mip.polimi.it

Riassunto della puntata precedente

Ha sostenuto recentemente uno di noi che quando si vuol parlare di inflazione, vera o presunta, che la si ipotizzi di breve o, ancor più, di lungo periodo, occorre chiedersi anche quale sia il comportamento presente e atteso dell’offerta di lavoro in questa fase storica. In particolare, ho cercato di attirare l’attenzione su di un fenomeno che in Italia è stato (vergognosamente) additato al pubblico ludibrio quale effetto del Reddito di Cittadinanza, ma che è in realtà diffuso nei paesi a reddito pro capite medio alto e, si diceva, diffuso trasversalmente tra coorti anagrafiche, qualifiche professionali, generi, classi di retribuzioni.

Nel primo paragrafo riprendiamo alcune considerazioni circa le caratteristiche specifiche della dinamica recente dei prezzi definita, per brevità, inflazione. Nel secondo paragrafo ritorniamo in maniera un poco più esaustiva sulla questione della Great Resignation, e cioè della contrazione dell’offerta di lavoro ad ogni livello del salario, e argomentiamo che si tratta di un fenomeno importante quantitativamente e probabilmente mostrerà di qui in avanti un qualche grado di permanenza. La tesi è che la dinamica al ribasso dei salari, nominali e reali, che ha caratterizzato questi ultimi tre decenni in tutti i paesi ad alto reddito pro capite e in Italia in particolare, ha indotto un grande, generalizzato ripensamento circa il rapporto desiderato tra, da un lato, tempo di lavoro e condizioni di lavoro in generale e, dall’altro, tempo libero o condizioni di vita in generale, il tutto ovviamente a retribuzione data. Il terzo paragrafo riporta evidenza preliminare del fenomeno: non la chiamiamo certamente ‘evidenza empirica’, ma i numeri sono rilevanti. Il quarto paragrafo conclude.

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I prezzi delle commodities sono prezzi di attività finanziarie? È per questa ragione che sono saliti tanto velocemente, mentre i prezzi al consumo sono ancora stabili?

21 06 19

Daniele Langiu, daniele.langiu@gmail.com

Fabio Sdogati, sdogati@mip.polimi.it

Premessa

Nel nostro pezzo del 25.05.21, che vorremmo essere il primo di una serie sulla tematica della dinamica dei prezzi, abbiamo cominciato a riflettere sulla questione del cosiddetto ritorno dell’inflazione o del suo spettro per usare i termini del New York Times. In un intervento pubblico recente, Joseph Stiglitz ha sostenuto con forza che

“dovremmo riconoscere il ‘dibattito sul ritorno dell’inflazione’ per quello che è: una falsa pista indicata da quelli che vorrebbero boicottare gli sforzi che l’amministrazione Biden sta facendo per affrontare alcuni dei problemi più profondi degli Stati uniti” @JosephStiglitz

Sarà questo il nuovo mantra, che l’inflazione è sempre e dovunque un fenomeno politico? Mentre almeno uno di noi due sospetta che la tesi di Stiglitz sia sostanzialmente corretta, riteniamo che mentre Stiglitz possa permettersi di avanzarla pubblicamente, noi faremmo bene a tenerci il sospetto ma procedere sul piano dell’analisi positiva. In questo articolo, quindi, discuteremo ancora del fenomeno dell’aumento del prezzo delle materie prime introducendo una dimensione di analisi che si affianca a quella del mercato delle merci, il mercato delle attività finanziarie. Precisiamo che in questo articolo non estendiamo l’analisi a tutte le materie prime, ma proviamo a porre l’attenzione su quelle per cui la contrattazione avviene attraverso contratti futures.

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Inflazione risalirà solo gradualmente in Europa: il divario tra domanda aggregata e pil potenziale sarà ancora ampio

21 02 07

Daniele Langiu, daniele.langiu@gmail.com

Fabio Sdogati, sdogati@mip.polimi.it

Il Fondo Monetario Internazionale, all’interno del proprio aggiornamento sulle previsioni di crescita dell’economia, pone un’attenzione forte sul divario tra pil reale e pil potenziale per motivare che l’inflazione rimarrà stabile: per i paesi ad alto reddito pro-capite  non raggiungerà il 2% tra 2021 e 2022, per le economie emergenti e in via di sviluppo rimarrà sotto gli standard storici (Figura 1 e Figura 2): “Even with the anticipated recovery in 2021–22, output gaps are not expected to close until after 2022. Consistent with persistent negative output gaps, inflation is expected to remain subdued during 2021–22. In advanced economies it is projected to remain generally below central bank targets at 1.5 percent. Among emerging market and developing economies inflation is projected just over 4 percent, which is lower than the historical average of the group.” (Fondo Monetario Internazionale, World Economic Outlook, January 2021 Update).

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Prospettive sull’inflazione in uno scenario di politiche economiche senza precedenti

2021 01 23

Daniele Langiu, daniele.langiu@gmail.com

Fabio Sdogati, sdogati@mip.polimi.it

Premessa

Negli anni della Grande Recessione, convenzionalmente 2007-2009 negli Usa e 2008-2012 in Europa, una delle grandi preoccupazioni di una parte di economisti e di gran parte della stampa era che gli stimoli monetari e fiscali adottati, dove lo furono, per contrastare la recessione, avrebbero prodotto inflazione. Come si sa, non solo ciò non è avvenuto, ma mentre le banche centrali statunitense (dal 2008 al 2014) ed europea (dal 2012 al 2019) adottavano misure di espansione monetaria mai viste prima per intensità e durata, il tasso di inflazione continuava a cadere, e raggiungere il famoso 2% annuo è stato impossibile. 

Oggi ci ritroviamo nello stesso dibattito: da un lato sono coloro (tra cui chi scrive) che sostengono che per uscire da questa crisi in maniera sostenibile i governi debbano deliberare stimoli fiscali enormi, parte di emergenza e parte più strutturali quali quello previsto dal piano Next Generation Europe; dall’altro sono coloro che continuano a ritenere che ciò produrrà spinte inflazionistiche devastanti; e ritengono anche che l’iperinflazione sarà un modo per svalutare il debito accumulato dai governi.

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Alcuni commenti ai dati pubblicati da Banca d’Italia sull’economia italiana e le previsioni di crescita del Pil

2020 12 20

Daniele Langiu, daniele.langiu@gmail.com

Fabio Sdogati, sdogati@mip.polimi.it

Mai come nei periodi di forti crisi economiche, si presta attenzione alle previsioni di crescita del Pil da parte delle istituzioni nazionali ed internazionali. Si è spesso attenti alla variazione percentuale anno-su-anno del prodotto interno lordo che può dare una rappresentazione positiva o negativa dei trimestri e degli anni a venire. Ovviamente, una percentuale da sola non basta a descrivere e analizzare la complessità della struttura sociale ed economica di un paese. In realtà, sono molte le variabili che andrebbero considerate per offrire delle risposte alla domanda ‘Quale sarà lo stato dell’economia italiana (o di un altro paese) nel 2021?’. In questo articolo, proviamo a rispondere presentando e commentando alcuni dati che Banca d’Italia ha pubblicato lo scorso 10 dicembre e che mostrano l’andamento di alcune variabili economiche e finanziarie dell’economia italiana; per chi fosse interessato, tutti i dati e i relativi grafici sono disponibili a questa pagina.

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Previsioni di crescita del PIL a confronto: ripresa a ‘V’, ripresa a ‘swoosh’, ripresa a ‘L’?

2020 11 15

Daniele Langiu, daniele.langiu@gmail.com

Fabio Sdogati, sdogati@mip.polimi.it

Premessa

A dieci mesi circa dal manifestarsi della pandemia, è utile chiedersi a che punto sia la ‘ripresa’ economica. Si ricorderà che a marzo il dibattito era tra chi prevedeva una ripresa a V e chi, come noi, parlava invece di una ripresa ad L.  Fermo restando che l’uso delle lettere per stilizzare un fenomeno complesso come una crisi economica e la successiva dinamica è, per l’appunto, una stilizzazione, a maggio circa si è cominciato a parlare di una ‘swoosh recovery’, una rappresentazione ritenuta evidentemente più realistica tanto della V che della L. I tempi sono maturi per riconsiderare la questione.

In questo lavoro utilizziamo le previsioni dell’andamento del pil per fare il punto sulla traiettoria che l’economia italiana sta seguendo dopo lo shock. Per ragioni comparative usiamo anche le previsioni circa la traiettoria seguita dall’economia tedesca. La nostra fonte è data dalle previsioni del Fondo Monetario Internazionale di ottobre 2020 per il periodo 2020-2025 con frequenza annuale, e quelle della Commissione europea per il periodo 2020-2022 con frequenza trimestrale.

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