Premessa
Fatico da settimane nel pensare a come affrontare la recensione del libro di Joseph Stiglitz The Euro and its threat to the future of Europe. Allen Lane, Penguin Random House, 2016. Ora penso di aver trovato il bandolo della matassa, ma non so quanto esserne soddisfatto. Vedremo. So che voglio parlare del rapporto tra Europa ed Euro avendo come riferimento la posizione di Stiglitz. Voglio parlare del rapporto tra i due, poiché essi sono due entità diverse non solo e non tanto perché all’Unione aderiscono 27 paesi e ad adottare l’Euro sono soltanto 19, bensì perché l’Unione precede l’Euro storicamente e logicamente. Il quesito principale è: che scopo serve l’Euro entro l’UE? Che ruolo ha nel processo di costruzione dell’Europa? Quesiti che ne rievocano un altro, IL quesito: perché abbiamo voluto l’Unione? Perché, nel processo di costruzione dell’Unione, abbiamo ritenuto che l’Euro fosse un passo avanti importante, forse decisivo? So bene che potrei fallire, ma spero che quello che sto per scrivere solleciti discussioni e critiche razionali tra le persone con cui mi interessa parlare, quelle appassionate d’Europa. Astenersi tutti gli altri, grazie.
Trovo che le parole più belle e più importanti del libro siano quelle con cui, a p. xxix, Stiglitz ringrazia la moglie per avergli costantemente ricordato the importance of the European project, e che the key question was [is, fs] the impact of the euro on that.” La signora Stiglitz ha idee molto chiare, ed io mi associo ai ringraziamenti del marito: il punto fermo, quello che non si discute, quello che viene ‘prima’ storicamente, logicamente, e politicamente, è l’Unione. l’Euro viene dopo. Ora, quello che ho appena detto non è realmente semplice da interpretare, poiché si potrebbe pensare che, se l’Euro è di impedimento al processo di costituzione dell’Unione, allora basta eliminarlo. Non è un caso che questa ‘liberazione dall’Euro’ venga assai spesso auspicata da anti-europeisti da quattro soldi, nazionalisti, separatisti, impauriti dal diverso sempre e comunque, le cui argomentazioni sono informate alla più grande confusione mentale. Avrete sentito certamente dire che “bene hanno gli inglesi a uscire dall’Euro”. Ignoriamo la solita confusione tutta italiana tra Inghilterra e Gran Bretagna. Ma quando mai la Gran Bretagna è uscita dall’Euro? Non ci è mai entrata.
E qui arriva il momento doloroso, doloroso per due motivi. Il primo è che, nonostante la sua attenzione, i suoi distinguo, le sue analisi attente, Stiglitz viene utilizzato a piene mani dai suddetti figuri, viene osannato con frasi del tipo “lo dicono anche i premi Nobel” [che bisogna uscire dall’Euro, fs]. La seconda ragione per cui il momento è doloroso è che debbo proporre una visione radicalmente diversa da quella di Stiglitz, che considero un maestro come pochi, come ben sanno i miei studenti. E dichiaro che il problema è ben altro! (Ricordo ancora un altro maestro, italiano, che anni fa mi diceva che il nostro è il paese del ‘benaltrismo’, cioè di coloro che non sapendo rispondere ad un quesito affermano che il problema è ‘ben altro’. Sosterrò la mia tesi sperando di non scadere agli occhi del maestro italiano.) E per oggi mi limito a proporre questa visione alternativa, mentre le argomentazioni di dettaglio verranno nelle prossime settimane.
La transizione dallo Stato-nazione all’Unione Europea
È generalmente accettata dagli storici la tesi secondo cui lo Stato-Nazione come lo conosciamo ebbe le sue origini nel Trattato di Westfalia del 1648, con il quale le parti in guerra misero fine alle miserie di tanti anni (secoli, in realtà). Tutti ricorderanno che nei libri di storia di scuola media l’ottocento veniva definito il secolo degli Stati-Nazione. Due secoli per il materializzarsi dello Stato-Nazione. In Europa.
Ora, il quesito interessante è: che cosa è uno Stato-Nazione moderno per un economista? Se lo si guarda dal punto di vista appropriato, e cioè quello delle autorità della politica economica che regolano, o cercano di regolare, le attività produttiva e commerciale, esso è un costrutto il cui funzionamento ruota attorno a quattro politiche: la politica commerciale, la politica fiscale, la politica monetaria, la politica del cambio. Il processo di costruzione dell’Unione Europea è avvenuto trasferendo progressivamente ad uno ‘stato’ di grandi dimensioni l’autorità degli stati membri su queste quattro aree: dapprima la politica commerciale nel 1968, poi la politica monetaria nel 1999 e, con essa, la politica del cambio. [Che la politica del cambio non sia stata ‘allocata’ alla BCE è vero, ma questo non implica che essa sia rimasta appannaggio degli stati-nazione, tutt’altro.] Perché metto tra virgolette la parola ‘stato’ quando mi riferisco all’UE? Perché esso, evidentemente, uno stato non è: gli manca, per esserlo, l’autorità fiscale, l’autorità di spendere e tassare.
L’UE è, dunque, uno stato senza governo. Questo è il problema dell’UE, non l’Euro! Gli stati nazione non possono fare politica fiscale se non entro i limiti del bilancio in pareggio, quella condizione che Soros chiama ‘l’interpretazione tedesca della stabilità’. In questa impostazione, ciascun governo dei paesi membri è il solo responsabile della propria politica fiscale. Responsabile di fronte a chi? Beh, di fronte ai mercati finanziari, i quali sono liberi di azzannarre i governi uno ad uno e portarli sull’orlo dell’espulsione dall’Unione: vedi Grecia, il più piccolo dei paesi UE e dunque il più adatto a farne un esempio per tutti.
In altre parole, quale banca, quale fondo d’investimento, quale fondo pensione oserebbe attaccare l’’Area Euro nel caso essa adottasse un approccio centralizzato alla politica fiscale? Nessuno, e non solo per la dimensione dell’Area: ma soprattutto perché l’area ha una banca centrale. Banca centrale che la Grecia non aveva e non ha (ricordo che ancora oggi il debito del governo greco non viene accolto nei programmi QE, quando se lo fosse tanti problemi finanziari del paese sarebbero risolti…..).
Da qui la mia tesi: non è ‘restituendo’ ai singoli stat- nazione l’autorità sulla politica monetaria che il progetto di Unione Europea progredisce, bensì trasferendo da loro all’Unione anche l’autorità sulla politica fiscale.
Tesi molto interessante, caro prof. Sdogati. Da ignorante in materia, attendo una prossima descrizione dettagliata sull’argomento, anche perché – sempre per la suddetta ignoranza – mi riesce difficile immaginare una politica fiscale in mano all’UE dovendo a che fare con le realtà sociali ed economiche diverse degli Stati membri. Ma d’altronde, come ormai lei predica da anni, è proprio una mancanza della politica fiscale dei governi a mantenerci in questo stato di stagnazione perenne. Dunque, la sua potrebbe rivelarsi una valida alternativa…
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Sull’ascesa e caduta degli Stati Nazione si sono espressi in tal senso diversi politologi, alcuni dei quali hanno anche sfiorato il panorama politico italiano. Mi riferisco ad esempio a Gianfranco Miglio… sono idee che condivido e molto interessanti. Parlano di riscrittura politica dell’europa non in base ai confini nazionali di oggi, ma in base alle affinità economiche dei sistemi produttivi. Nascerebbero euroregioni che comprendono territori appartenenti oggi a più stati. Di fatto una gigantesca Svizzera. Mi piacerebbe avere un suo commento su questo…
Credo anche esprimere apertamente questo genere di tesi, comporti dei rischi per qualsiasi politico al giorno di oggi. E’ una contraddizione, ma è così ! Le persone comuni, che vivono anni di preoccupazione per il lavoro, si stanno rifugiando nuovamente nell’idea di Stato Nazione, probabilmente alimentate dal ricordo dei tempi che furono. Questo rigurgito rischia seriamente di far saltare il banco. Si è più solidali quando le cose vanno bene, mentre quando vanno male ci si rifugia nei luoghi comuni e si è diffidenti. Nei libri di storia ci insegnano che i tedeschi sono tutti cattivi e nazisti, quindi…
Condivido al 100% la sua tesi economica, e mi piacerebbe leggere qualche dettaglio in più.
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La sua tesi è assolutamente condivisibile, direi anche indiscutibile. Certamente non sarebbe semplice trovare la “corretta” politica fiscale, il giusto mix, il giusto equilibrio, in un insieme di Paesi che oggi vivono livelli di evoluzione economica e sociale significativamente differenti. Ma è stato anche difficile costituire l’Unione prima e l’Euro poi. Il successo di tale evoluzione e quindi della sua proposta è però, a mio avviso, legato a due fattori determinanti: la situazione geopolitica mondiale, che non vede di buon occhio una Europa potente (coadiuvati dal suo interno dalle conseguenze sulle popolazioni della lunga stagnazione in corso) e, forse e soprattutto, il livello qualitativo e la capacità di leadership degli uomini che ci stanno rappresentando e guidando (i.e. politici) a livello non solo italiano ma anche europeo. Per portare avanti proposte come la sua servono uomini preparati, convinti, seri, lungimiranti e dotati di una forte autorevolezza. Temo che in questa fase storica, a differenza di quella che ci ha portato alla costituzione dell’Unione, di leader con queste caratteristiche, in Europa, ce ne siano veramente pochi.
Sono certo tuttavia che trovato il giusto equilibrio (e per farlo sarebbe di grande aiuto che si potesse davvero intravvedere la fine di questo lungo periodo di crisi non solo economica) i risultati, indiscutibilmente positivi, si vedrebbero già nel breve periodo. L’economia però è una scienza sociale e per farla funzionare non bastano le migliori teorie o le migliori leggi, serve anche il convincimento degli uomini che le propongono e di quelli che le applicano…
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Caro professore, ho letto con piacere le sue considerazioni che condivido in massima parte, anche se non ho sufficiente cultura fiscale per apprezzare in pieno gli eventuali sottintendimenti del suo ragionamento.
Allo stesso tempo mi trovo completamente d’accordo col commento di Marco che coglie in pieno quelle che anche a mio parere sono le principali contraddizioni di base che hanno impedito finora il pieno compimento del progetto europeo e hanno portato all’attuale triste spettacolo che offre ogni vertice comunitario.
Proprio Miglio a suo modo dava una possibile soluzione per uscire dalle logiche conservative tipiche degli Stati nazionali, spesso coincidenti con quei luoghi comuni che abbiamo imparato tutti da bambini con le barzellette (c’è un italiano, un francese, un tedesco, …).
Il fatto è che i fondatori del progetto europeo volevano arrivare ad eliminare quei rancori tra Stati nazionali, figli di guerre secolari per spostare confini di pochi chilometri e 2 guerre mondiali combattute soprattutto in Europa, ma poi, strada facendo, gli euroburocrati attuali hanno completamente stravolto il disegno iniziale trasformando l’UE in un comitato d’affari condotto da finanzieri e lobbisti, svuotato da ogni supporto sociale e culturale che faccia da legante a così tante differenze.
Oggi ognuno di noi può cogliere nell’interlocutore il senso d’amarezza e disillusione ogni volta che si parla delle istituzioni comunitarie, e appaiono lontanissimi i tempi in cui la gente correva entusiasta in banca per avere in anteprima il KIT con le nuove monete dell’Euro, nella consapevolezza che stava succedendo qualcosa d’importante.
Cos’ è cambiato allora per far sì che oggi molti maledicano l’Euro e tanti desiderino seguire l’esempio del Regno Unito?
Niente! I vecchi Stati nazionali non hanno mai accettato di perdere la loro sovranità in favore di una visione più ampia come poteva essere una vera federazione o anche solo una confederazione, l’UE adierna è una “quasi confederazione” senza politica estera comune, con una moneta “quasi comune” che penalizza solo chi l’ha adottata perchè ad altri e stato concesso di rimanere in mezzo alla porta, ne fuori ne dentro, meno male che il più ingombrante s’è finalmente tolto di mezzo.
Nonostante la Brexit (che personalmente ritengo un fatto positivo), continuiamo a vedere summit tra leader europei che si concludono con disappunto dettato dagli egoismi nazionali e con spiegazioni che tirano in ballo i soliti luoghi comuni (l’italiano, il francese,il tedesco …), quindi chi sarà il prossimo a lasciare la casa?
Probabilmente, per evitare una lunga agonia a questa Europa che non piace più a nessuno, bisognerebbe fare un deciso passo in avanti pensando che gli Stati nazionali che siamo abituati a pensare non hanno più ragione d’esistere. Penso che si possa valorizzare ad esempio l’autonomismo espresso di recente dalla Scozia e la Catalogna (ma tante altre nazioni senza stato potrebbero seguirle) purchè questo sentimento diventi motivo di rinnovato orgoglio civico e senso d’appartenenza verso territori più omogenei e meno artificiali di quelli esistenti, così che ogni nuovo stato abbia una effettiva maggiore convenienza a far parte di una strittura unitaria più forte e sufficientemente rappresentativa per tutti i membri, non solo quelli più grandi come accade ora.
Se ciò accadesse, le relazioni tra nuovi stati cambierebbero perchè è innegabile che se la Francia ha combattito a lungo con la Germania e questo ha comportato le tensioni e i sospetti che serpeggiano ancora oggi tra le due nazioni, il discorso cambia se si rapportassero direttamente tra loro l’Alsazia con la Baviera o la Bretagna con la Sassonia.
Dovremmo inventare nuove barzellette adattate alla situazione, ma ci lasceremmo alle spalle tutte le rivalse che hanno impedito finora una vera Unione Europea.
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La premessa che ha portato alla creazione dell’Unione Europea era la necessita’ di limitare i conflitti bellici che avevano messo in ginocchio l’Europa (prima e seconda guerra mondiale): in pratica creare un sistema che gestisse le relazioni tra Germana e Francia. Ovviamente la natura dell’Unione si e’ estesa notevolmente con il passare degli anni e l’adozione della moneta unica era una logica progressione.
Lo scetticismo delle Gran Bretagna e dei detrattori dell’Unione Europea (autori, giornalisti britannici) e’ sempre stato una spina nel fianco: come un bambino che fa i capricci e non e’ mai contento. Non credo che l’Unione fallira,’ anche se occorre un ripensamento sostanziale circa gli obiettivi e le modalita’ di testine della stessa. Credo che l’uscita dell Gran Bretagna alla fine si rivelera’ un evento importante per ripensare a come gestire la UE in futuro ed a constatare come la libera circolazione di persone, capitali, servizi e l’euro di fatto siano un elemento vincente.
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Buongiorno professore, è con grande piacere che ho scoperto su FB questo suo blog, che trovo un ottimo modo per rimanere aggiornato e leggere un parere ragionato sui temi economici attuali.
In merito alla politica fiscale comunitaria: penso che nella generazione Erasmus questo concetto sia dato quasi per scontato, nel senso che spesso parlando di questi temi tra amici emerge come sia un’ingiustizia il fatto che il prelievo fiscale in Germania, Francia e Spagna, ecc. sia diverso dal nostro. Il tutto nasce dal fatto che c’è la libera circolazione delle persone e che quindi molti non capiscono perché non ci sia anche lo stesso trattamento fiscale tra diversi Paesi. Questa situazione genera inoltre uno stimolo ulteriore all’emigrazione di alto livello: per noi trentenni le barriere sociali, culturali, linguistiche (anche quelle gastronomiche 😉 sono praticamente tutte cadute, se quindi sommiamo anche uno stipendio superiore all’estero, cominciano ad essere pochi gli argomenti per restare. Una politica fiscale comunitaria sulle persone aiuterebbe quindi l’Italia a trattenere i migliori.
Parlando delle aziende, invece, questa favorirebbe la concorrenza con l’estero e gli investimenti nel nostro Paese, in quanto anche in questo caso siamo tra i più svantaggiati (aliquote elevate).
Tuttavia i temi da affrontare sono molto ostici: condividere la politica fiscale significa anche condividere i debiti pubblici (e chi si accollerebbe quello dell’Italia?), le politiche sociali (sono i tedeschi che devono passare ad un sanità completamente pubblica come la nostra, oppure dovremo sostenere gli ospedali italiani con assicurazioni sanitarie obbligatorie, come fanno in Germania?), quelle sul trattamento pensionistico…insomma tutte le implicazione “pratiche” che ogni Stato europeo ha sui suoi cittadini. Per le imprese sarebbe più semplice, perché lo Stato è meno presente, almeno in quelle private.
L’idea quindi è molto bella ma per realizzarla tutti gli Stati dovrebbero essere decisamente orientati al cambiamento e a fare grandi concessioni nei confronti dei loro vicini europei, sperando che il gioco non sia a somma zero, ma tutti ne guadagnino qualcosa.
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Su una cosa posso essere d’accordo ma con riserva ovvero quando lei dice “la soluzione è… trasferendo anche l’autorità sulla politica fiscale all’unione”. Ora se trasferiamo il modello dell’Irlanda o quello delle Canarie avremmo un vantaggio ma se trasferiamo il nostro modello fiscale è il colpo finale all’economia dell’europa. Ovvero non è che rendendo uniforme in Europa in modo peggiorativo il modello fiscale si aiuta l’unione. Poi pensateci un attimo, dove Nissan ha aperto stabilimenti,UK. Dove BMW, PL, dove sono i principali operatori dell’ITC europeo …Cork, Irlanda. Perchè le aziende evitano come la morte l’Italia? Per il cuneo fiscale medio intorno al 200%, per la tassazione effettiva intorno al 70% , per l’iva ed il regime degli anticipi, per la miriade di imposte, per la burocrazia “variabile e confusa” oppure a causa della popolazione? Ecco se poi vogliamo uniformare il fisco europeo a questo modello, come facile che avvenga, possiamo tranquillamente emigrare tutti in Cina. Il guaio è che in Europa abbiamo una burocrazia comandata dalla finanza e da quei meccanismi dettati dalla BCE che difficilmente si muoveranno verso un modello light del fisco.
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articolo di settembre 2016… la soluzione sarebbe l’unione fiscale e politica. non mi sembra una grande scoperta (arrivata oltre ogni tempo massimo concedibile, lo dicono cani e porci).
Inoltre saranno pure gli stati nazionale ad essere di ostacolo alla UE, ma quelli c’erano prima della UE e ci vogliono argomentazioni solide per accettare di abbandonare l’uno per l’altro (quelle utilizzate ai tempi sono state tutte smentite dai fatti clamorosamente).
Infine piantatela di considerare trogloditi, impauriti dalla diversità ed incapace di adattarsi ai cambiamenti tutti quelli che non la pensano come Voi. Forse vi sono ragioni un pò troppo elevate perchè le possiate comprendere… forse è a voi che manca un pò di cultura, imprigionati nel vostro idiotismo specialistico, e avete bisogno di riflettere ancora un pò …
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sono un neofito quindi leggo icon notevole ritardo questo interessante articolo e dico magari la UE avesse una politica fiscale comune perchè cosi non avremmo i paradisi fiscali come Olanda, Irlanda e Luxemburgo ma se questi esistono vuol dire che ha qualcuno fanno comodo a cominciare dalle multinazionali
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Gentilissimo, grazie. Certo, se qualcosa esiste la ragione non è che sia ‘giusto’, ma che fa comodo a qualcuno. Ai governi nazionali in primo luogo, che così possono ‘comandare’ sul proprio paese; alle multinazionali, alle quali i governi nazionali offrono condizioni fiscali di favore, come Lei stesso ha messo bene in evidenza; a tutti coloro che non hanno la forza, la capacità, il coraggio di misurarsi con realtà grandi e orizzonti aperti, pidocchi che hanno bisogno della loro casetta piccola, senza concorrenza da fuori… Un buona serata, fs
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Sono ancora convinto che il problema non sia l’Euro, è la mancanza di una vera unione politica europea che sta portando allo sfaldamento in ordine sparso.
l’Olanda, l’Irlanda, il Lussemburgo, sono loro il problema? Se impedissimo i loro privilegi subito dopo ce la prenderemmo con la Slovacchia, l’Austria, Cipro, e così via.
Anche negli USA ci sono stati come il Delaware, però c’è un solo debito nazionale che non relaziona la California col Wyoming mediante uno spread, e c’è un solo Presidente che non manda una troika negli stati più arretrati a costo di causare una guerra civile.
Purtroppo l’Europa è una cosa incompiuta e gli italiani devono prendersela soltanto con se stessi.
Fin dall’inizio Theo Weigel e Wim Duisemberg (guarda caso un tedesco e un olandese) non ci volevano perché non ci reputavano pronti (venivamo definiti quelli del ClubMed e in seguito i PIGGS), ma Prodi ci ha fatto vendere la camicia per entrare nel gruppo dei primi, era una questione di prestigio ci diceva.
I fatti dimostrano che invece non è così, molti stati dell’Unione non sono in Eurolandia e nemmeno spingono per entrarci, allora perché per noi era così importante?
Il motivo si chiamava Tango Bond, oltre a tutti i problemi d’indebitamento che avevamo già di nostro, ma i detrattori della vecchia cara Liretta non se lo ricordano più.
Per noi è stato certamente più protettivo che vantaggioso adottare l’Euro, ma per fortuna è successo.
Quello che invece è sempre mancato e manca tuttora è una strategia per l’Italia che permetta di beneficiarne.
L’Unione Europea era principalmente figlia della necessità di contrapporsi al mondo sovietico, sparito il pericolo è sparita anche la volontà d’andare fino in fondo.
noi però abbiamo passato decenni a presentare in Commissione bilanci gonfiati e tante promesse mai mantenute, ora facciamo gli offesi perché gli altri europei non si fidano più e adottano quei luoghi comuni sugli italiani che noi stessi abbiamo contribuito a confermare.
La Brexit è già avvenuta, ora dobbiamo scegliere se diventare adulti o procedere con la Ex-IT dall’Euro, perché anche per noi non è più tempo di restare in mezzo alla porta.
Da qualche anno leggo regolarmente libri di Limes, posso assicurare che le soluzioni non mancano, ma servono politici veri per strategie vere.
Un Paese come il nostro, che non conta più nulla nello scenario internazionale, può solo offrire una sponda di volta in volta a quelli che contano in base al proprio tornaconto, non possiamo permetterci nulla di più, è bene farsene una ragione velocemente per non perdere altro tempo che non abbiamo.
A noi converrebbe sposare la visione francese, anche se significa accettare i loro continui dispetti (lo fanno perché hanno una strategia nazionale), se ci mettiamo con i tedeschi verremo sempre considerati poco, se ci chiamiamo fuori e ci mettiamo con gli americani, passiamo dalla padella alla brace.
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