È possibile confermare che sia in atto un processo di “disaccoppiamento” tra USA e Cina?

Daniele Langiu, daniele.langiu@gmail.com

Fabio Sdogati, fabio.sdogati@mip.polimi.it

Introduzione

Uno dei quesiti ricorrenti da due anni ormai è se la politica tariffaria dell’amministrazione Trump nei confronti delle esportazioni delle imprese localizzate in Cina stia avendo successo o meno. Purtroppo, o per fortuna, vi sono molti modi in cui è possibile interpretare la parola ‘successo’. Il più semplice e lineare è chiedersi se vi sia una correlazione tra andamento delle misure restrittive e andamento del saldo di bilancia commerciale, che sia di sole merci o di merci e servizi. Noi non siamo particolarmente interessati a questo tipo di verifica empirica, i cui risultati cambiano peraltro radicalmente a seconda della metodologia quantitativa utilizzata.

Come siamo venuti argomentando da due anni a questa parte, ci sembra che il quesito veramente importante sia: stiamo osservando solo l’effetto tradizionale dell’imposizione dei dazi sul deficit commerciale ‘USA-Cina’ e ‘USA-Resto del mondo’ oppure stiamo assistendo ad un fenomeno di disaccoppiamento tra USA e Cina tale da ridisegnare (geograficamente) gli scambi internazionali di merci e servizi e i flussi finanziari?

La nostra tesi è che il disaccoppiamento USA-Cina sembra essere già in atto e che le ragioni economiche profonde per cui lo stiamo studiando ora sono da cercare:

  1. Nella struttura produttiva denominata frammentazione internazionale della produzione, che ha portato alla formazione delle ormai famose e importanti catene globali di produzione
  2. Nella crescente necessità del governo USA di finanziare il proprio deficit dall’estero, al contempo riducendo la dipendenza dalla Cina.

La nostra tesi è presto esposta e argomentata come segue. Dato un modello a più di due paesi e frammentazione internazionale della produzione, ci aspettiamo che la politica tariffaria anti-cinese adottata dal governo USA possa certamente essere correlata con una diminuzione del deficit di saldo commerciale USA nei confronti della Cina, ma essa genererà anche un aumento del deficit di saldo commerciale USA con il resto del mondo (Cina esclusa) (Figura 1). Sulla dimensione relativa dei due effetti non possiamo ancora dire molto, ma evidenza preliminare sembra indicare che essi non siano sostanzialmente diversi (in valore assoluto).

Figura 1

Effetti di un dazio in presenza e non di frammentazione internazionale della produzione

Le politiche restrittive hanno avuto probabilmente un qualche loro effetto, ma l’analisi bivariata non produce risultati interessanti. Questo perché, a nostro modo di vedere, l’analisi non va condotta tanto nei termini tradizionali, cioè in un modello in cui paesi diversi producono le stesse merci, bensì in un modello in cui la produzione di merci è frammentata internazionalmente, e ogni paese contribuisce soltanto un numero limitato di fasi del processo produttivo globale.

Proviamo ad analizzare gli effetti di un dazio prima in uno scenario in cui ciascun paese produce merci commerciabili internazionalmente sulla base di soli inputs locali e poi in presenza di frammentazione internazionale della produzione.

  1. Modello a tre paesi senza frammentazione internazionale della produzione

In un modello a tre paesi, il paese A che imponga un dazio sulle importazioni dal paese B darà necessariamente la stura a comportamenti ‘controproducenti’ dei propri importatori nei confronti delle produzioni provenienti dal ‘resto del mondo’, che chiameremo C.  La reazione degli importatori di A sarà di ridurre la domanda di merci prodotte in B. Allo stesso tempo, nel paese A, aumenterà l’offerta dei prodotti sottoposti al dazio, ovviamente nell’ipotesi che nel paese A esistano ancora imprese che ritengono profittevole produrre il prodotto in A.  Ma gli importatori di A andranno anche a cercare fornitori in C, fornitori che siano quanto più ‘prossimi’ per caratteristiche di prodotto a quelle delle merci tradizionalmente importate da B.

Questa semplice osservazione ci consente di prevedere che se le importazioni di A da B decrescono, quelle di A da C aumentano. Esplicitamente: è ragionevole ipotizzare che a seguito dei dazi USA contro le importazioni dalla Cina queste possano essere diminuite, ma quelle sostitutive più o meno prossime provenienti dal resto del mondo dovrebbero essere aumentate.

  1. Modello a due paesi, e a tre, in presenza di frammentazione internazionale della produzione

Consideriamo dapprima il modello con due soli paesi, ciascuno dei quali produca merci contribuendo fasi di processo produttivo e usando semilavorati provenienti dall’altro paese (oltre a quelli interni). In questo caso, quando il governo nazionale vuol ‘proteggere’ l’industria nazionale applicando il dazio ad un prodotto ‘finito’, come è un’automobile, il produttore del paese contro cui si è elevato il dazio può decidere di aprire linee di assemblaggio nel paese che intende ‘proteggersi’, e lì assemblare parti e componenti prodotte in patria, assumendo che queste non vengano sottoposte a dazio. Ciò è proprio quanto avvenne alla fine degli anni ’70 – inizio anni ’80 tra Giappone e Stati uniti, nell’industria automobilistica. Abbiamo portato questo esempio per mostrare rapidamente che l’imposizione di dazi non ha (solo) l’effetto ‘tradizionale’ da libro di testo di elevare il prezzo del prodotto importato nel paese protezionista ma, e ormai forse soprattutto, ha l’effetto di modificare la composizione degli scambi internazionali e la localizzazione delle imprese.

Questo ragionamento, estremo anche se realistico nel caso di due soli paesi, si può replicare in un modello a tre paesi, in cui sia di nuovo A ad elevare il dazio contro i produttori di B. Questi ultimi, colpiti dal dazio, potranno andare a cercarsi un ruolo nel segmento di loro interesse nelle catene di produzione localizzato in C, che per costruzione A non ha interesse a colpire. Osserveremo dunque anche in questo caso diminuzione delle esportazioni, e forse della produzione, nel paese colpito dal dazio, ma un aumento delle esportazioni da C verso A.

Quanto detto dovrebbe essere sufficiente a mostrare che risposte pronte al quesito ‘Quali effetti della politica tariffaria?” non ce ne sono, ma che quando si abbandona il terreno confortevole offerto dal modello a due paesi e due merci prodotte con inputs esclusivamente nazionali, ci sia la possibilità di un disaccoppiamento commerciale tra USA e Cina a favore di altri paesi.

Una verifica empirica, per quanto rudimentale, viene condotta in Figura 2 e Figura 3. In Figura 2, sono riportati i dati mensili delle esportazioni nette degli USA verso alcuni paesi limitrofi alla Cina. In due anni, il deficit commerciale statunitense è aumentato sia con Taiwan che con il Vietnam. Il deficit commerciale USA verso Taiwan è aumentato da 16,3 miliardi di dollari a 23,0 miliardi di dollari (+38%); il deficit commerciale USA verso Vietnam è aumentato da 38,3 miliardi di dollari a 55,8 miliardi di dollari (+46%). Ancor più rilevante è l’aumento del deficit commerciale degli Stati Uniti nella regione nordamericana con Messico e Canada. Il deficit commerciale USA con il Messico è aumentato da 69,3 miliardi di dollari a 101,2 miliardi di dollari (+47%); e anche il deficit commerciale USA con il Canada è aumentato da 16,6 miliardi di dollari a 27,0 miliardi di dollari (+63%). Questa analisi descrittiva sembra confermare che si è verificato uno spostamento delle importazioni statunitensi dalla Cina verso paesi ‘simili alla Cina’ in termini di posizionamento nelle catene globali di produzione e costi di produzione; e verso Messico e, in maniera più blanda, Canada, paesi che hanno firmato con gli USA l’accordo commerciale USMCA.[1]

Figura 2

Figura3

Da sottolineare che i dati di dicembre non riflettono ancora gli effetti delle azioni intraprese da governi ed imprese a seguito dell’emergere e del diffondersi del virus 20109-nCoV quali, ad esempio, la chiusura di 42 retail stores in Cina da parte di Apple o la chiusura di impianti produttivi Hyundai in Corea del sud per mancanza di parti tradizionalmente provenienti dalla Cina. Solo dal mese prossimo potremo ‘isolare’ quegli effetti, analizzando l’andamento dello scambio commerciale cinese gennaio 2020 su gennaio 2019.

Il disaccoppiamento in atto per finanziare il deficit USA dall’estero, al contempo riducendo la dipendenza dalla Cina

Insieme alla frammentazione internazionale della produzione, l’altra determinante del disaccoppiamento USA-Cina in favore ancora dell’estero e non di produzione statunitense è da ricercarsi nella domanda di capitale necessarie a finanziare la domanda di investimenti nazionali e di finanziamento del disavanzo pubblico. Come abbiamo argomentato in un articolo del 2018, questa considerazione si basa sull’ipotesi che il saldo di bilancia commerciale di un paese sia determinato da variabili macroeconomiche.

L’argomentazione non è complessa. La bilancia dei pagamenti di un’economia deve essere sempre in equilibrio: se il paese spende più di quanto produce, e cioè registra un disavanzo di conto corrente, dovrà trovare uno o più paesi disposti a finanziare questo disavanzo prestandogli del capitale. Quindi, nel caso in cui un paese abbia un disavanzo di conto corrente con il resto del mondo, dovrà ricevere in ingresso un afflusso di capitali di pari importo al disavanzo commerciale attraverso cui possa pagare il disavanzo. L’economia si sta indebitando con chi è disposto a prestare capitali; prestiti che possono avere finalità di investimenti in attività produttive, acquisto di attività finanziarie, quali azioni e obbligazioni di imprese o acquisto di titoli di debito pubblico del governo. Gli Stati Uniti stanno importando sempre meno dalla Cina e più da altri paesi, riducendo la propria esposizione nei confronti della Cina. In altre parole, gli Stati Uniti stanno diversificando le fonti estere di finanziamento della spesa pubblica e degli investimenti privati.

Conclusioni

Se è vero, come è necessariamente vero, che il saldo commerciale bilaterale passivo degli USA nei confronti della Cina è stato per decenni uno strumento fondamentale per il finanziamento del debito USA, pubblico e privato, il presente lavoro sembra indicare che tale modello è in via di superamento in questo senso: il bisogno USA di avere come partner un produttore grandissimo, con un solo interlocutore (il Partito), costi del lavoro trascurabili rispetto a quelli locali, etica del lavoro pressoché unica, può oggi essere soddisfatto da una varietà di paesi tra i quali il consumatore di ultima istanza può differenziare l’approvvigionamento. Come abbiamo già avuto modo di rilevare, la capacità di risparmio cinese mirata al finanziamento del debito Usa comincia oggi ad essere ‘garantita’ anche da una moltitudine di altri paesi, i quali sono in grado di ‘garantire’ anche capacità produttiva adeguata alla domanda Usa. Questo è quanto sta avvenendo, e questo è quanto abbiamo chiamato disaccoppiamento.


[1] I dati dei deficit commerciale citati nel testo sono dati annuali (Fonte: US Census Bureau, febbraio 2020)

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